Che i colori rappresentino le nostre emozioni e i nostri sentimenti è una percezione universale istintiva, che affiora con evidenza nei più comuni modi di dire («una vita grigia», «un futuro rosa», «sono nero», «vedo rosso», «giallo d’invidia», «verde di rabbia»…). Questa associazione tra stati d’animo e colori indusse Max Lüscher, il noto creatore del Test dei colori (1949), a definire questi ultimi come «il linguaggio emozionale dell’inconscio».
Se però osserviamo con attenzione un sentimento, potremmo scoprirvi molteplici sfumature, così come l’occhio riesce a distinguere circa duecento tinte, o “tonalità del colore”, a cui vanno aggiunti il grado di saturazione o “purezza”, cioè l’intensità della tinta, e la luminosità o “brillantezza”. Analogamente ci sono sentimenti “brillanti” e altri “cupi”, stati d’animo complessi e indefiniti, che nascono dalla “mescolanza” di diverse emozioni, proprio come i colori secondari e terziari nascono dall’unione dei primari in quantità diverse. Se si mescola un primario (giallo, rosso, blu) con il suo complementare, cioè un secondario, si ottiene il grigio, proprio come certe esistenze, che alla base di una perenne insoddisfazione hanno spesso una “con-fusione” (intesa come mescolamento inappropriato) tra quelli che potremmo definire valori (ma anche bisogni) primari e valori secondari.
Tra i sentimenti policromi e sarei tentato di dire “pirotecnici” spicca la gioia, fermo restando che il più complesso e misterioso resta comunque l’amore. Da semplice emozione, se alimentata, potrebbe trasformarsi in sentimento. Da forza dinamica dell’ego, che si accende e spegne con l’incanto e la rapidità dei fuochi d’artificio, potrebbe anche assurgere a un livello stabile di stato d’essere dell’anima, cioè a quella dimensione esistenziale di felicità, che il senso comune afferma «non essere di questo mondo».
Ma esiste tale punto d’arrivo “in questo mondo”? La felicità sembra presentare un diverso livello di qualità rispetto alla gioia: la gioia nasce dall’appagamento di un desiderio, mentre la felicità (intesa in chiave spirituale) è caratterizzata dall’assenza di attaccamento al desiderio. D’altro canto essa potrebbe anche intendersi in senso quantitativo come il risultato addizionale di gioie, le quali dovrebbero tuttavia mostrare un denominatore comune, cioè un’intrinseca qualità tale da costituire uno stato d’essere omogeneo, come sfumature cromatiche che si accordano e infine diventano luce. Il discorso ci porterebbe lontano. Accontentiamoci qui di far passare il raggio della gioia attraverso il prisma della nostra osservazione e vediamo in quanti colori potrebbe scomporsi.
Quando si parla di gioia, il colore per eccellenza corrispondente è l’arancione. Nella sua frequenza riconosciamo la gioia di vivere, il desiderio del piacere fisico e mentale. La sua energia nasce infatti dall’incontro della forza materiale e passionale del rosso con quella mentale del giallo, che, intensificata nell’oro, ci porta sul piano spirituale della saggezza. Questo tipo di gioia è spesso avvertito come allegria, che esprime il desiderio di abbracciare, per così dire, e lasciarsi abbracciare dalla vita, in un processo che coincide con la strutturazione della personalità, la quale non può realizzarsi senza la presenza dell’altro. Perciò è innamoramento, sessualità, Eros, fiducia e ottimismo.
La gioia rossa è invece legata alla passione, spesso erroneamente scambiata per amore. Ha un’energia dinamica rivolta alla dimensione esteriore, “molto calda”, esotermica e centrifuga, che suscita azione e ottimismo, ma non esclude cadute a picco nella sofferenza. È spesso incontenibile e travolgente e nasce da una forza attrattiva, a guardar bene, misteriosa: caratteristica, questa, del rosso, che si pone al confine tra la realtà visibile (materia) e quella invisibile delle radiazioni infrarosse. In questo tipo di gioia vibra la voglia di vincere, di conquistare e possedere. È l’energetico più potente, ma ha il più basso tasso di vibrazione di tutti i colori.
La gioia rosa ha come nota distintiva la tenerezza, grazie al senso di purezza e di elevazione che il bianco apporta al rosso. Nasce da un affetto senza passione, che si può benissimo esprimere in modo dolcemente sensuale, con una gamma di sfumature che va dalla simpatia all’amore incondizionato. È una gioia sensibile e dolce, che produce un senso di leggerezza, quasi di felicità.
La gioia gialla sorge spesso all’insegna del cambiamento, alimentata dalla ricerca del nuovo e da un’ottimistica proiezione verso il futuro. Nasce dalla pienezza e dall’affermazione dell’io, dalla fiducia nella possibilità della propria realizzazione. È caratterizzata da chiarezza mentale, entusiasmo, estroversione e comunicazione. Può essere contagiosa e la sua assunzione da parte di altri non presenta controindicazioni: richiede solo una buona dose di fiducia.
La gioia verde risiede nel cuore, centro emotivo del nostro essere, che condivide con il rosa. L’agitarsi frenetico delle emozioni sembra qui distendersi ed equilibrarsi, trasformandosi in un vero sentimento. È la gioia che sorge da un senso di armonia, da un amore nato dalla trasmutazione delle energie sessuali e narcisistiche e divenuto capace di donarsi. È la gioia di una sana autostima, della calma, della speranza e della perseveranza, della sicurezza degli affetti. A volte è anche la gioia della rinascita dopo un grande dolore o un lungo periodo di crisi, come indica il colore di Osiride risorto dopo l’annientamento.
Con la gioia blu entriamo nella dimensione interiore, nella pace dei sentimenti più profondi e in un senso di benessere prodotto dall’attivazione delle facoltà mentali superiori. La sua energia è endotermica e centripeta: la tensione verso la realtà trascendente ci porta al centro di noi stessi. È una gioia creativa, caratterizzata dal desiderio di comunicare: il passaggio dalla dimensione psicologico-affettiva a quella spirituale si traduce, infatti, in una spinta amorosa verso la vera conoscenza dell’altro.
Nella gioia indaco si manifesta una profonda trasmutazione della coscienza: la consapevolezza, avvertita intimamente, dello stretto legame che unisce tutte le creature produce un irradiamento d’amore. Si comincia a provare un tipo di gioia che travalica il comune sentire e i limiti stessi dello sperimentabile, come una forza incontenibile, che trascina e trasforma: la gioia allora può diventare estasi. È un sentimento che ci fa sentire finalmente liberi dal peso fino a quel momento dato alla materia, con i suoi affanni, e che in pari tempo sembra dare spessore all’inafferrabile realtà dello Spirito. È la dimensione mistica ben espressa nel motto alchemico: «Coagulare il sottile e sciogliere lo spesso».
Questa scoperta (o riscoperta) della gioia come condizione autentica e costante dell’anima culmina nel viola, il colore dello Spirito, all’estremo limite dei colori visibili, sulla soglia delle radiazioni ultraviolette. La gioia viola fonde in armonia la materialità del rosso e la spiritualità del blu ed è caratterizzata da un grande trasporto verso gli altri, l’arte, la bellezza, il senso del mistero e della trascendenza. Radicare la vita in questo sentire significa bussare alla porta della felicità.
Naturalmente i motivi per gioire possono essere soggettivi e molteplici, tanta è la ricchezza e la varietà di questo sentimento. Qui, a titolo di esempio, ho solo tracciato alcune linee secondo un percorso ideale. Certo la gioia è un grande bene, che occorre coltivare con valide motivazioni, in modo da poterne non solo godere, ma anche offrire a chi ci sta intorno. È infatti per natura non un sentimento egoistico, ma un sentire interiore che ci “collega” al nostro Sé più profondo e agli altri, come sembra suggerirci la radice racchiusa in gioia: yuj, la stessa di yoga.
Cesare Peri
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