Si dice che tra due estremi o assoluti sia sempre più saggia e preferibile la “via di mezzo”, ma non sempre è così. Per esempio tra il bianco e il nero, cioè tra la luce abbagliante e il buio profondo, tra l’elemento attivo e quello passivo per eccellenza, dovrebbe essere il grigio, che nasce dal loro contatto, a equilibrarne le qualità.
Di fatto questo colore “acromatico” o neutro, come le sue componenti, sembra piuttosto, per diverse ragioni, accrescerne i difetti: sporca il bianco e non migliora il nero, trasformando la tenebra in ombra. Se ogni colore per natura presenta un simbolismo primario positivo e uno secondario negativo, per il grigio, come per pochi altri, vale il contrario: «Sono di umore grigio», «Che giornata grigia!», «Che grigiore!» esclamiamo istintivamente per esprimere tristezza, monotonia o dubbio.
In effetti è un colore privo di vita, che esprime superficialità, distacco emotivo (più o meno voluto), chiusura e neutralità. Ma sotto questi stati d’animo o atteggiamenti il movente più forte è la paura: paura delle proprie emozioni, delle responsabilità e delle decisioni, paura del giudizio degli altri. Alle radici di questa paura troviamo perciò un’insufficiente autostima, capace però di camuffarsi da calma impassibile, autocontrollo ed efficienza lavorativa.
Il test dei colori ideato da Max Lüscher rivela un forte elemento di autoinganno nella collocazione del grigio all’interno della scelta cromatica e mostra come esso costituisca una vera e propria barriera tra i colori preferiti, che il soggetto fa precedere alla scelta del grigio, e quelli che lo seguono, tanto che i primi assumono valore di compensazione («sostituti compulsivi di qualche deficienza esistente a causa dell’ansia che sorge da essa»). Tale compensazione può costituire la “molla segreta” di tanti uomini di successo nei vari campi dell’industria e del commercio, in cui spesso eccellono, «non tanto per la loro naturale superiorità, quanto per una pressante urgenza di sfuggire a qualcosa che ha causato in loro ansia e scontento». E questo potrebbe anche essere interpretato come un aspetto, per così dire, positivo del contenuto del grigio, che io invece inquadrerei nell’ambito della questione primaria di capire quali siano i nostri veri bisogni.
Certo, si può reagire all’introversione, alla timidezza e alla solitudine, che connotano il grigio, indossando la maschera dell’imperturbabilità, della severità o austerità, ma l’efficienza e l’iperattività non possono colmare il vuoto interiore, che oltretutto si rivela e si accresce a livello relazionale col distacco, la freddezza e l’assenza di spontaneità.
Chi vive questa sofferenza interiore (spesso non del tutto cosciente, ma comunque raramente disposto ad analizzarsi e mettersi in discussione) predilige per istinto il grigio. Indossato, questo colore comunica un desiderio di anonimato e la volontà di tenere le distanze, anche se diffuso tra gli uomini d’affari, i quali di fatto limitano a questo fine le loro relazioni. Dal punto di vista energetico essi non ne possono però trarre alcun beneficio, perché il grigio non solo non ha particolari effetti terapeutici, ma anzi devitalizza e tende a frenare l’attività. Tuttavia non nuoce a solerti impiegati, favorendo l’attività sedentaria e limitando le distrazioni.
Già al tempo dei Romani era simbolo di lutto e nella tradizione cristiana, associato alla cenere, indicò la morte e la caducità di ogni creatura, ma anche la resurrezione, in quanto unione del bianco e del nero, i colori distintivi della divinità e della materia.
A questo senso di caducità, unito a quello di mortificazione della carne, alludeva in origine il colore del saio dei monaci eremiti, successivamente divenuto marrone, che ricorda comunque l’aspetto terreno, ma ancora nel XVII secolo l’abito dei cappuccini era grigio e acquistò particolare notorietà grazie al famoso padre Giuseppe (il barone François Le Clerc du Trembly), l’influente segretario del cardinale Richelieu, tanto da essere soprannominato, per l’appunto, «l’eminenza grigia».
Il grigio divenne così ambivalente simbolo di umiltà e di potere, ma questo secondo aspetto crebbe alla fine del XIX secolo, in epoca vittoriana, nella moda maschile dei nobili, grazie al principe di Galles, e ancora oggi lo si associa ad abiti di una certa eleganza.
D’altro canto si riconoscono a questo colore anche altri risvolti positivi, come evocatore di intelligenza (associata alla «materia grigia»), di equilibrio (tra il bene e il male), di saggezza e prudenza (per il colore dei capelli nella vecchiaia). Collegato al piombo e quindi a Saturno, che genera negli uomini malinconia, ha tuttavia un’inversione in positivo con il riferimento all’argento e alla perla, il «colore lunare», simbolo di interiorità e d’introspezione, perciò con valenza femminile.
Una lettura esoterica più profonda lo interpreta come passaggio da un colore all’altro, e precisamente dal buio alla luce, riconoscendo perciò in esso il simbolo della porta, a sua volta collegato a quello del quadrato e del numero quattro, e lo identifica così con l’incarnazione. In quanto associato alla cenere, è anche simbolo di trasformazione, come attesta il colore dei dieci petali del terzo chakra, Muladhara, che ha come elemento il fuoco, e dei due triangoli che formano l’esagramma del quarto, Anahata, ad indicare che nessuna esperienza è più trasformatrice di quella dell’amore.
Ma, al di là di queste raffinate simbologie, noi incontriamo comunemente il grigio nel contesto delle grandi città industriali, dove lo si respira, in senso proprio, come inquinamento e, in senso figurato, come anonimato. Questa nebbia (altro simbolo per eccellenza del grigio) che ci entra nei polmoni e nello spirito, facendoci vivere come estranei tra estranei (davvero senza colori!), può avere, tuttavia, non solo il potere di offuscare ulteriormente la coscienza, ma anche quello di risvegliarla, proprio grazie alla percezione di un limite raggiunto, oltre il quale non si può più reggere alla farsa dell’indifferenza e dell’estraneità: si sente allora sorgere un vivo e vivificante bisogno di significato personale, di relazioni autentiche, capaci di dar colore e calore ai grigi e freddi schemi quotidiani.
In questo senso il grigio rivela il suo segreto più profondo: l’invito a una scelta trasformatrice, che riduca il negativo in cenere e riumanizzi l’esistenza, aprendoci realmente il passaggio a una nuova percezione olistica del mondo. Allora “la via di mezzo” tra il nero e il bianco non sarà più il grigio come fuga ma come soglia, non sarà una linea incolore tra due estremi che si oppongono ma un ventaglio completo di colori che li collega e armonizza, colmando ogni vuoto.
Cesare Peri
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