Quel meraviglioso ventaglio di colori che con infinite sfumature la natura dispiega ai nostri occhi (e alla nostra anima) nei suoi tre “regni”, minerale, vegetale e animale, sembra interamente riprodotto, quasi per un gioco olografico, nel ventaglio della coda del pavone.
In effetti questo misterioso uccello, uscito, come per magia, dalle foreste dell’India, nella sua straordinaria varietà di piumaggio riunisce tutti i colori dell’iride con riflessi cangianti blu-verde, lavanda-viola, grigio-argento-marrone, opale, giallo-rosso rame, bianco-nero… Per ogni colorazione primaria del piumaggio esistono venti variazioni e, come risultato di combinazioni di colori di base e secondari, si arriva a ben centottantacinque varietà del pavone comune!
La lucentezza metallica del piumaggio del pavone maschio, che incede solenne con in testa un ciuffo di penne azzurre, gli occhi bordati da un elegante fregio bianco, il lungo collo e il petto di un blu intenso, mentre un verde marino brilla tra le ali scure o grigio-marrone e sembra prolungarsi nelle lunghe penne bronzo-rame della coda, ci lascia ammirati. Che dire poi del pavone bianco, la cui la coda sembra uno splendido pizzo? Anch’esso richiama la totalità dei colori, dal momento che il bianco in sé tutti li riassume.
E proprio questa totalità cromatica include il pavone nella dimensione simbolica: le splendide penne della coda dai misteriosi “occhi” blu-azzurri, cerchiati di giallo e di verde chiaro, aperte a ventaglio nella caratteristica ruota, richiamano alla mente l’idea dello spiegamento cosmico della creazione e quindi della totalità dell’esistente. Più in generale, l’aprirsi della meravigliosa ruota simboleggia ogni tipo di manifestazione, ma il suo subitaneo richiudersi evoca anche il senso di precarietà e di impermanenza di ogni cosa.
D’altro canto, poiché il ventaglio è destinato a riaprirsi, si associa a idee di rinascita, di primavera, di longevità e anche di amore, dal momento che questo sentimento sembra “esplodere” improvviso in tutta la sua bellezza e, non di rado, svanire con altrettanta rapidità. Oltretutto il pavone fa la ruota nel periodo degli amori (per attrarre le femmine e per intimorire gli avversari). Un’altra ricorrente valenza simbolica deriva dal fatto che questo insolito volatile si ciba di serpenti velenosi senza subire danno, divenendo perciò l’emblema della trasformazione in positivo di qualsiasi situazione negativa. Un’antica credenza spiega i colori cangianti della sua coda proprio come l’effetto del veleno tramutato in sostanza solare. Di conseguenza la sua immagine fu sempre considerata di buon auspicio.
Quanto ai misteriosi “occhi” dei quali è disseminata la coda (con cui disorienta e spaventa i predatori), i popoli antichi, soprattutto in Oriente, vi riconobbero gli astri che punteggiano il firmamento. Anche per i Greci rappresentavano lo splendore celeste, simbolo di Era, la Grande Dea, gelosa consorte di Zeus, la quale volle l’omonima costellazione in memoria di Argo, il suo fedele guardiano dai mille occhi, ucciso da Ermes. Non di meno i Romani, che lo chiamavano “uccello di Giunone”, lo esaltarono come simbolo di bellezza, di regalità e anche d’immortalità, perché ritenevano che a esso spettasse il compito di accompagnare nell’aldilà le anime delle imperatrici.
Simbolo di vita eterna fu anche per i primi cristiani, che lo raffiguravano per esprimere le qualità del Salvatore, regalità e gloria, ma anche l’idea di morte e resurrezione, sia per il movimento della sua ruota sia, probabilmente, anche perché le splendide penne della coda vengono perse durante la muta (in settembre), ma poi rispuntano (in aprile). A questo va aggiunta la credenza, già nelle antiche religioni pagane, che la carne del pavone non si decomponesse dopo la morte. Il pavone bianco, in particolare, significava la purezza e la luce della coscienza, come pure lo Spirito Santo e Cristo risorto. Secondo una leggenda medievale gli “occhi” rappresentano l’onniscienza di Dio, che tutto sa e tutto vede, ma proprio a partire dal Medioevo si diffuse anche un’interpretazione negativa del pavone come simbolo di orgoglio, di vanità e di lusso.
Nella religione indù esso appare associato alla conoscenza e alla saggezza, attributi della dea Saraswati, che lo usa come personale cavalcatura, forma che assume lo stesso Indra, il dio del cielo, quando scende sulla terra. Simbolo di purezza mentale e di perfezione morale è in Tibet il pavone bianco.
Particolare rilievo nella simbologia musulmana ha “l’uccello dai cento occhi”, la cui ruota rappresenta lo spiegamento cosmico dello Spirito, l’universo e la volta celeste, a cui allude simbolicamente anche la danza rotatoria dei dervisci. Secondo una leggenda sufi, Dio all’origine creò il pavone, dalle cui gocce di sudore, stillate per timore reverenziale, sarebbero nati tutti gli altri esseri. Un’altra leggenda ha per protagonista il giovane Adi, desideroso di divina conoscenza, al quale il maestro consiglia di cercare il significato del Pavone e del Serpente. Giunto in Iraq, egli s’imbatte nei due animali che, disputando sulle loro presunte qualità, si rinfacciavano reciprocamente i difetti: uno era vanitoso, pur avendo delle brutte zampe, mentre l’altro era un pericoloso dissimulatore. In realtà i due animali stanno a rappresentare la natura umana nella sua duplice componente, divina e terrena, ricca di potenzialità da sviluppare, ma sempre esposta al rischio dell’orgoglio spirituale.
Davvero tanti valori nei colori del pavone! Ma, se dall’universo simbolico, specchio della ricchezza dell’animo umano, scendiamo nel giardino zoologico dell’ornitologo, vediamo passarci davanti un pennuto che può pesare dai 4 ai 6 chili (maschio adulto) con il caratteristico strascico di penne del sopracoda lungo anche 1,6 m. Sappiamo che può campare fino a 25 anni e che, diversamente dagli altri uccelli, resiste bene al freddo invernale.
Inoltre ha voce sgradevole, simile al gracchiare del corvo, e un caratterino poco socievole, che lo rende aggressivo verso le altre specie domestiche e gli estranei. In compenso può affezionarsi a chi se ne prende cura, ma non sopporta voliere e recinti, perché ama la libertà e tuttavia preferisce camminare invece che volare. Si accontenta di appollaiarsi sui rami alti degli alberi per sentirsi al sicuro… Ma, forse, anche senza ricorrere alla simbologia, ho l’impressione che in questi aspetti ci si possa comunque riconoscere…
Cesare Peri
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