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61. MASCHERE E MASCHERINE

13/05/20

La parola persona, con cui ci definiamo in quanto individui, significa “maschera”: nell’antica Roma la indossava l’attore per rappresentare il personaggio e per amplificare attraverso di essa la sua voce (per-sonat, «risuona attraverso»). La persona, infatti, da un lato rivela chi siamo, dall’altro lo nasconde. Le “maschere”, “levarsi la maschera”, scoprire il proprio “volto originario” (se mai possibile) è un tema appassionante che riempie intere biblioteche di letteratura e di psicanalisi.

Oggi per necessità, ironia della sorte per chi cerca la verità dietro la maschera (propria e degli altri), siamo costretti a sovrapporre alla maschera una mascherina, destinata a proteggersi dal contagio, ma, ahimè, anche a nascondere le espressioni del volto, quelle “contrazioni mimiche” che rivelano emozioni e sentimenti. Sentiremo soprattutto mancare la dolcezza e la bellezza del sorriso.

Gli occhi, si sa, sono “lo specchio dell’anima” e cercheranno di supplire accentuando istintivamente la loro espressività. Saremo una buona volta costretti a guardarci negli occhi, cosa in genere evitata per vari motivi. Qualcuno potrà persino innamorarsi, colpito dagli occhi di una persona sconosciuta. Sì, perché un volto nascosto accresce il mistero e per giunta gli occhi hanno un’importanza fondamentale nella bellezza di un volto e lo sguardo ha da sempre il potere di affascinare.

Se l’uso della maschera dovesse durare, immagino che la moda non tarderebbe ad appropriarsene (Dio ci scampi dalla tentazione di utilizzarle per la pubblicità!): maschere di tutti i colori, secondo la sensibilità e gli stati d’animo, maschere preziose per persone raffinate, maschere di buon comando per il lavoro, maschere eleganti per le feste…

Per il momento le mascherine bianche ci rendono tutti anonimi, con qualche variante di poco conto. Forse, cercando il lato positivo di questa necessaria e uniforme mascherata, potremmo anche riscoprire un’evidente somiglianza che ci accomuna e avvicina, come sa chi indossa un’uniforme, dato che, a quanto pare, l’appartenere alla stessa specie non basta a superare il disagio dell’apparente diversità. Ecco evidenziato il denominatore comune: tutti uguali con la mascherina, tutti soggetti alla stessa vicenda, che occasionalmente è un virus, ma di fatto è la vita che ci interroga sulla fragilità dell’esistenza e di conseguenza, volenti o nolenti, sul suo significato, circostanza che dovrebbe avvicinarci e favorire aperta collaborazione e solidarietà.

Insomma, di fatto si accentua il gioco delle maschere: nasconderci per accrescere il desiderio di “riscoprirci” e riscoprire il valore dei comportamenti e degli impegni quotidiani, vissuti spesso con distrazione, cioè con scarsa consapevolezza e debole carica umana, dietro la maschera delle abitudini, della fretta, della diffidenza e dell’anonimato, accettato come un ruolo imposto dal senso comune in mezzo a una folla di comparse, cioè tra i nostri simili.

Oggi per conoscere nuove persone dovremo per forza levarci la maschera o mascherina, un gesto non solo necessario, ma implicitamente carico di valenze simboliche: rivelarsi all’altro, dando così un grande segno di fiducia, un po’ come un tempo ci si toglieva il guanto nel dare la mano, per mostrare che non vi era nascosta nessuna punta avvelenata (il massimo della perfidia per eliminare un nemico).

Si sa che il bianco “dona sempre”, ma sul volto, oltre che nasconderlo, aggiunge un che di inquietante, proprio della larva, col suo triplice significato di “spettro”, “figura emaciata” e, per l’appunto “maschera”. Troveremo il modo di supplire a questo aspetto “larvato”, che aggiunge anonimo sembiante a quella che, come si diceva, per natura è già apparenza nel nostro mostrarci al mondo, con l’accentuare la vivacità dei gesti e l’espressività della voce, proprio come gli attori, ma l’attenzione potrebbe spostarsi sempre più (ce lo auguriamo) sulla qualità del copione, cioè sulla bellezza, oltre che difficoltà, del comunicare e soprattutto sul valore del rapporto umano.

Essere perciò più umani e sinceri dietro la maschera, più sensibili e partecipi alle difficoltà, ma anche alle qualità che ci accomunano. Riscoprire un’autentica solidarietà in questa fugace e meravigliosa avventura che ci troviamo a vivere insieme, sullo stesso pianeta, nelle medesime coordinate spazio-temporali, di cui potrebbe anche apparirci (per intuizione o progressiva scoperta) il significato. Allora cambierebbe radicalmente il nostro comportamento e il nostro sorriso trasparirebbe attraverso qualsiasi maschera.

Cesare Peri

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