Questa sera sono uscito dopo giorni di “clausura covidiana”, per usare un triste neologismo, a passeggiare nella mia via e, con piacere inatteso, ho visto le luminarie. Non quelle del Comune, indotto quest’anno a risparmiare, né quelle condivise dai negozianti, costretti a badare solo alla propria vetrina. Lampioni a parte, la via era buia e spoglia, ma, alzando gli occhi, ecco l’improvviso incanto di finestre e balconi incorniciati di lucette multicolori e pulsanti!
È stata una sorpresa, perché, dato l’innegabile clima di scoramento, mi aspettavo meno festa sulle facciate anonime dei palazzi. E invece no, sorprendentemente, sopra di me, dal primo all’ultimo piano, brillava un palpito multicolore più intenso degli altri anni. Una reazione positiva alla solitudine e all’isolamento?
Mi sono fermato a osservare. Anche questo è qualcosa di insolito: nella via si procede e si scorre, non ci si ferma. Sì, nella vita di tutti qualcosa si è fermato. Eppure proprio questa sosta ci offre l’opportunità di considerare aspetti importanti del quotidiano, significati e valori che la fretta trasfigura e rischia spesso di cancellare.
Quei festoni di lucette fisse o intermittenti o lanciate in una rincorsa gioiosa, sempre pronta a ricominciare; quei ricami luminosi, che addirittura coinvolgevano in un disegno unico balconi di piani diversi (una magica casetta verde-azzurra e ampie decorazioni a intreccio rosse e gialle), mi sono sembrati qualcosa di diverso dai soliti addobbi formali, tradizionali e soprattutto individuali. Vi ho letto (e involontariamente constato che queste tre parolette, fuse insieme, danno il colore dell’alta spiritualità: vi-(h)o-letto!) un significato, per l’appunto, più alto e soprattutto vero e palpitante come i colori: amore per la vita, desiderio di riprendere con gioia e con rinnovate motivazioni le attività quotidiane e, in particolare, i rapporti umani.
Mi pareva che sulle imponenti e anonime facciate fosse scritto a caratteri ben chiari non solo la speranza e la volontà di “risalire sulla barca rovesciata”, che chiamiamo “resilienza”, ma anche la consapevolezza che questo non è possibile senza la collaborazione di tutti. E, rileggendo ora fra quelle righe, mi sembra che quel messaggio possa andare oltre la necessità di un aiuto reciproco, giungendo a sottolineare il valore in sé delle relazioni, indispensabili alla vita affettiva e mentale di ciascuno.
Insomma, un richiamo forte a superare l’individualismo e quel triste senso di estraneità che ci contagiava da tempo come un virus, già prima dell’arrivo del covid, con la sopraggiunta riscoperta di essere mortali (forse ce n’eravamo un po’ dimenticati) e malgrado l’accresciuta diffidenza-prudenza che ci induce ad alzare la mascherina fin sopra gli occhi.
Un bisogno forte e consapevole di relazioni, di unità e integrazione, che evidenzia la centralità delle interazioni con gli altri quale carattere primario del nostro essere sociali, fattore che determina la qualità della vita individuale e che addirittura modella la struttura cerebrale (neuroplaticità), come dimostrano le ricerche della neurobiologia interpersonale, che studia il cervello come organo sociale. Introdurre nuovi pensieri, grazie alle interazioni con gli altri, genera infatti nuovi circuiti cerebrali, e anche a queste interconnessioni è andato il mio pensiero, contemplando non solo le luminarie che collegavano i balconi, ma la stessa contiguità delle minuscole lampadine colorate e lampeggianti. L’integrazione mentale e sociale sorge proprio dal vedere la realtà con più colori e sfumature, cogliendo i nessi al di là del luogo comune che intende la diversità come separazione.
La mia passeggiata serale, dunque, mi ha suggerito che la negatività va trasformata, che non è separata o opposta al positivo, ma è solo l’estremo di una polarità che include, per la stessa legge fisica e per un criterio di dualità insito nella nostra dimensione materiale, quelli che sembrano gli opposti. Gli addobbi natalizi di quest’anno, innegabilmente meno felice degli altri, possono dire qualcosa di più vero, realmente connesso a un anelito di nascita o di rinascita, a una visione olistica che ci invita a rinnovare l’attività sociale, a promuovere unità e integrazione dentro e fuori di noi, come quell’insieme di lucette multicolori sembra indicare.
Queste piccole luci, infatti, ciascuna col suo colore, pur brillanti nella notte, non sono di per sé tanto significative rispetto alla bellezza che assumono quando sono unite l’una all’altra. È questa “visione d’insieme” che dà senso e valore ai momenti della nostra vita e ai rapporti con le persone che ci circondano. Una constatazione che può anche intendersi come un’accorata esortazione, quale Irving Stone, nel suo romanzo Il tormento e l’estasi sulla vita di Michelangelo, mette sulla bocca del padre spirituale, rivolta al grande artista: «Cerca di concepire la tua vita come un tutto, anziché come una serie di disparati frammenti. Così ti renderai conto che ogni periodo si sviluppa da quello precedente e che ve n’è sempre uno nuovo davanti a te».
Cesare Peri
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