Fermarsi davanti a un colore e fissarlo attentamente non è da tutti. Indagarne le valenze energetiche, simboliche e spirituali e magari seguire un corso di Meditazione Cromatica lo è ancora meno. Eppure a tutti capita regolarmente di tenere gli occhi fissi sul rosso, magari con rabbia e impazienza, di salutare con un sollievo il verde e di entrare in agitazione di fronte al giallo. Eh, sì, alludo al semaforo, detto anche un tempo “lanterna semaforica” e, più poeticamente, “albero dei colori”, il misuratore della nostra fretta. Ma come viviamo le valenze di questi tre colori e cosa racchiudono essi in realtà?
L’aspetto più curioso per chi si interessa di colori è la discrepanza fra il messaggio che con essi si vuole trasmettere a livello cosciente, usandoli come segnali stradali, e quanto essi comunicano al nostro subconscio con la loro intrinseca e universale valenza. Infatti i colori esercitano su di noi un forte e istintivo impatto psicologico, influenzando la mente e le emozioni. Vediamo di chiarire questa strana contraddizione.
Il rosso è il colore esotermico e centrifugo per eccellenza: pura energia dinamica, è eccitante e spinge all’azione. A livello fisiologico stimola il cuore, aumentandone i battiti, il sistema nervoso e la produzione di adrenalina. A livello di chakra (il primo, su cui stiamo seduti, anche in auto, magari con le dita tamburellanti sul volante) mette in movimento il corpo, stimolando mani e piedi. In cromoterapia è usato per accrescere grinta e coraggio. Ma può anche avere un effetto ansiogeno e, se fissato a lungo, genera irrequietezza e fa emergere stati di stress. Inoltre è combattivo, genera una carica aggressiva e la volontà di vincere: forse da qui certe “partenze a razzo” all’apparire del verde liberatorio, magari in competizione (tipo formula 1) con l’auto che sta a fianco.
Come se non bastasse, sappiamo che il rosso ha una lunghezza d’onda molto vicina a quella che emettiamo in stato di irritazione. Quindi chi arriva al semaforo rosso già “arrabbiato” per i suoi problemi e magari con una certa fretta, non solo deve frenare il suo dinamismo, trattenendo l’impulso di accelerare, che il colore istintivamente attiva, ma deve anche fermarsi a fissare con attenzione quella luce che genera collera. Ma per convenzione nella segnaletica stradale il rosso indica pericolo e divieto, perciò il piede deve passare dall’acceleratore al freno, in ossequio alla calma e alla prudenza. Già nel XVIII secolo un cencio rosso era un segnale di allarme e di pericolo, perché l’associazione istintiva è quella col sangue e col fuoco, entrambi simboli ancestrali di vita e di morte. Del resto la “valenza inquietante” del rosso si ritrova in vari ambiti, non solo in quello stradale: “allarme rosso”, “codice rosso”, “conto in rosso”, “cartellino rosso”… Fatto sta che, quando siamo al volante, il rosso del semaforo ci allarma, ma anche spazientisce, e il turbamento, al di là delle legittime cause contingenti, è favorito anche da questo contrasto tra conscio e subconscio.
Strano a dirsi, ma la stessa dinamica capovolta si verifica con il verde, il colore della tranquillità, della calma (la pace verde della natura), dell’equilibrio, della sicurezza e della stabilità. La sua frequenza è quella naturale dell’organismo in stato di quiete. Inoltre riposa la vista e ha le migliori qualità terapeutiche nella cura dello stress, dell’ansia e dell’iperattività. Il suo effetto calmante (stimola l’attività della ghiandola pituitaria) trasmette un sentimento di rilassamento e comodità, tanto che a qualcuno, fermo all’incrocio con gli occhi fissi alla bella luce verde, capita non a caso di non ingranare subito la marcia, mentre qualcun altro alle spalle è pronto a strombazzare furiosamente. Ma il mio subconscio mi dice: «Stop! Rilassati», mentre la mente cosciente lancia l’allarme: «Via! Avanti tutta!». In effetti nella nostra società urbana il verde, che in passato non godeva di troppa considerazione (ma, come tutti i colori, conserva anche una valenza negativa: veleno, rospi, mostri, Marziani aggressivi…), ha acquistato positività in vari campi: benessere, ecologia, giovinezza, gratuità (“numero verde), tanto che le inchieste demoscopiche lo vedono al secondo posto, tra i colori preferiti, dopo il blu.
Che dire del giallo? È uno straordinario stimolatore motorio e forse per questo (oltre che per quella malattia che si chiama “fretta urbana”) induce molti a premere sull’acceleratore, mentre il messaggio indica pericolo e invita alla cautela e alla prudenza. Il giallo è il colore dell’intelletto, della chiarezza mentale, del dinamismo e dell’allegria. Fa salire la pressione sanguigna e agisce sul sistema nervoso simpatico e parasimpatico. Attira l’attenzione, accendendosi dopo il verde, e ci pone di fronte alla scelta: «Accelero o rallento?». Il suo effetto istintivo sprona all’azione, ma il monito è quello di rallentare e fermarsi. Così la tensione, o per “aver perso per un soffio il verde” o per una brusca frenata, si prepara a surriscaldarsi grazie all’effetto stimolante del rosso! Il giallo, strano a dirsi, non piace e non ha mai goduto il favore della gente, forse per associazioni mentali poco lusinghiere o perché la sua lunghezza d’onda colpisce la retina con una frequenza mal sopportata, che lo rende sgradevole, tanto che nei sondaggi occupa gli ultimi posti.
Di fatto il giallo «ha funzione di “mezzo rosso”: cartellino giallo del calcio» (Pastoureau). Eppure è il colore più luminoso e, proprio perché attira l’attenzione per la sua straordinaria visibilità, viene utilizzato per indicare pericolo ed emergenza (bandiera gialla a bordo). Per Goethe «possiede una forza possente, che può determinare anche tensione e angoscia», ma è anche simbolo solare, che irradia calore e conoscenza. Psicologicamente infonde energia e sicurezza, proiezione fiduciosa verso il futuro, cioè «spinge in avanti», ma, anche in questo caso, di fronte al segnale semaforico è meglio dar retta alla memoria (una delle valenze del giallo, collegato alla parte sinistra del cervello) piuttosto che seguire l’impulso registrato dal subconscio.
Ma in definitiva non meravigliamoci troppo di tante contraddizioni, abituati come siamo a muoverci in mezzo a esse, per scoprire forse un giorno che gli opposti sono solo gli estremi di qualcosa che è uno e indivisibile. Quanto alla storia del nostro “albero dei colori”, c’è da dire che la sua invenzione, col tempo sempre più perfezionata e utile, all’inizio fu addirittura “esplosiva”, se si considera che apparve per la prima volta a Londra, nei pressi di Westminster, nel dicembre del 1868 (opera dell’ingegnere John Peake Knigth) sotto forma di lanterna a gas rotativa con una luce rossa e una verde, ed esplose dopo tre settimane, ferendo al volto il poliziotto che la manovrava.
Il primo semaforo ad illuminazione elettrica fu installato nel 1914 a Cleveland, nell’Ohio, e aveva ancora due colori. Il giallo si aggiunse nel 1923, ideato da Garrett Morgan per scongiurare i frequenti incidenti che si verificavano col semplice alternarsi dei due colori. In Italia il primo semaforo comparve a Milano nell’aprile del 1925 (all’incrocio fra Piazza Duomo, via Orefici e via Torino): era piuttosto complesso, se si pensa che aveva una luce rossa (stop per le auto), una bianca e rossa (avanti i pedoni, stop ai veicoli), una verde (avanti le auto e i motocicli) e una gialla e verde (via libera a tutti i veicoli). L’effetto fu “straordinario” ma poco funzionale, se, come riportano le cronache dell’epoca, i pedoni si accalcavano per vedere quella meravigliosa lanterna magica, mentre il traffico si addensava in una chiassosa confusione.
Anche il semaforo (dal greco séma, «segnale» e féro, «porto») dunque ha la sua storia, non solo fatta di luci, ma anche di suoni: in origine uno scampanellio, simile a quello dei passaggi a livello, accompagnava l’accendersi del rosso. Oggi il campanello suona nella nostra mente alla comparsa di questo sostituto del vigile, un uomo che un tempo dall’alto di una pedana dirigeva il traffico, per ricordarci la prudenza e il rispetto reciproco tramite l’alternarsi dei colori, che esaltano l’importanza del simbolo rispetto alla reazione istintiva: un implicito invito alla conoscenza e al dominio di se stessi.
Cesare Peri
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