Se diamo un foglio e qualche matita a un gruppo di persone con l’invito a raffigurare simbolicamente se stessi e la propria vita, è quasi certo che la maggior parte disegnerà un albero. È un esperimento psicologico che trova regolare conferma, tanto l’immagine dell’albero, con le sue radici nella terra e le braccia protese verso il cielo è dentro di noi. Uno dei più diffusi e profondi “archetipi”, si direbbe nel linguaggio psicanalitico.
Secondo il classico test di K. Koch, il disegno dell’albero rappresenta “con significato proiettivo” l’individuo nelle sue tre componenti: l’area affettiva-ideativa (la chioma), la personalità (il fusto) e la sfera istintiva (le radici).
Di conseguenza dalla raffigurazione della chioma (fitta o scheletrica, con foglie, fiori o frutti) si può dedurre l’espansione dell’affettività dell’individuo e il suo grado di soddisfazione esistenziale; alla dimensione del tronco corrisponde una personalità più o meno sviluppata; la lunghezza, lo spessore e la ramificazione delle radici rivelano la profondità del “radicamento” nella materia, la sicurezza e la stabilità nell’affrontare la vita e di dominare le pulsioni e la paura; aspetti ben evidenziati dal test di verifica del primo chakra (detto, appunto, “chakra radice”), associato al colore rosso.
Naturalmente una lettura cromatica della raffigurazione dell’albero aggiungerebbe particolari rilevanti alla semplice interpretazione della forma. Qui, per necessità di spazio, ci limiteremo a qualche considerazione sulla colorazione del fusto, cioè della personalità del disegnatore.
Un primo rilievo ci induce a distinguere tra “colori realistici” (marrone, verde, grigio, nero) e “colori fantastici” (rosso, arancione, giallo, blu, viola), un’indicazione importante per avvicinarci all’approccio che ciascuno ha con la realtà che lo circonda, la quale in un modo o nell’altro funge sempre da specchio del mondo interiore.
C’è chi definisce il tipo di albero, più raramente consapevole del suo specifico valore simbolico (cipresso, frassino e abete richiamano l’immortalità dell’anima; l’alloro è associato alla corona vittoriosa e alla mantica apollinea, il pino al sacro culto di Attis; la quercia, sacra a Giove e ai Druidi, così salda e possente, è la più “gettonata”).
C’è chi invece si limita con pochi schizzi a un modello indefinito e chi, al contrario, esprime nel “proprio albero” una ricca creatività che sconfina nel sogno.
Tra i colori realistici, il primo posto è ovviamente occupato dal marrone, il colore del legno, della Madre Terra e delle cose solide e durature, ma anche della corporeità e delle soddisfazioni sensoriali. Chi lo predilige, in genere, ama la tranquillità domestica, le abitudini, le tradizioni; è pratico, tenace e paziente, ma poco attivo, con una certa avversione ai cambiamenti. Il marrone chiaro è indice di sensibilità e di generosità, come pure di timidezza. Va ricordato tuttavia che si distinguono ben sessantatré sfumature di marrone. Una sua caratteristica è l’umiltà, tanto che si parla di “generosità cromatica” del marrone: infatti, quando un colore gli viene abbinato o sovrapposto, ne risulta valorizzato, come se il marrone si limitasse a dargli risalto.
Il verde, si sa, è il colore della natura e della vita, e quindi della fertilità, dello sviluppo e del rinnovamento. Da qui l’associazione con “gli anni verdi” della giovinezza, se ci si volge al passato, ma anche con la speranza, se si guarda al futuro. È il colore della calma, della tranquillità e dell’equilibrio, caro a chi è un po’ introverso, ma capace di impegnarsi con diligenza e costanza, desideroso di amicizia e di relazioni, in cui si mostra sincero e affidabile. Non dimentichiamo che è il colore dell’amore, fin dall’antichità sacro a Venere, e corrisponde al “chakra del cuore”.
Sia il grigio sia il nero possono rispondere a una volontà realistica nel colorare il tronco, tuttavia la sua dimensione è di per se stessa significativa, dando più o meno spazio alla variabile intensità della tinta. Sono due colori definiti “acromatici”, che in genere suscitano sentimenti negativi e devitalizzano.
Il primo esprime dubbio, tristezza e volontà di non coinvolgimento, anche se, d’altra parte, gli si può riconoscere una valenza di prudenza, austerità e autocontrollo. Al secondo si associa l’idea di negazione, di assenza, insicurezza e pessimismo, pur attribuendogli una carica di mistero e di anticonformismo, fino a uno spiccato individualismo e all’aperta ribellione. Entrambi in Occidente sono simbolo di lutto e, indossati, costituiscono una barriera che protegge dalle interferenze esterne.
Quando la rappresentazione dell’albero diventa di fantasia, allora nel fusto prevale il rosso, magari con un’evidente “tentazione artistica”. È il colore della vitalità, della passione, della sensualità e del dinamismo. Esprime la dimensione corporea e una personalità estroversa, viva e impulsiva, incline alla competizione e talora anche all’aggressività. Chi lo indossa ha un carattere audace e desidera colpire l’attenzione altrui.
Il tronco arancione esprime allegria, ottimismo e voglia di vivere. Socievolezza e altruismo si accompagnano alla fiducia in se stessi e a un sincero desiderio di relazioni. È l’unico colore privo di connotazioni negative e unisce l’energia fisica (rosso) a quella mentale (giallo).
Il giallo è il colore solare per eccellenza, e un bel tronco giallo rivela una visione ottimistica della vita, che include dinamismo e apertura al nuovo e al cambiamento. Intelletto, gioia e spensieratezza trovano espressione nel giallo chiaro, mentre un che di negativo sembra celarsi nella tonalità scura, a cui si associano spesso le idee di malattia, vigliaccheria e tradimento. Chi lo indossa rivela una forte personalità, un “io” che si sente bene con se stesso.
Se il fusto si tinge di blu o di viola, evidentemente chi disegna non intende tener conto della realtà esterna, ma desidera dare sfogo alla fantasia e alla “sognante realtà” del proprio mondo interiore.
Il primo è il colore spirituale, dell’introspezione e della pace, mentre l’altro, all’estremo limite dei colori visibili, prossimo alle radiazioni ultraviolette, è simbolo di trasmutazione e di trascendenza e introduce in una dimensione magica e privata, di difficile accesso alla “massa”. Entrambi i colori elevano lo spirito, ma possono anche essere indice di solitudine e malinconia.
Un’ultima osservazione riguarda la dimensione dell’albero e la sua collocazione nello spazio del foglio. Un albero troppo piccolo o troppo grande rivela un certo disagio, che va dall’insufficiente autostima a una forzata ostentazione. Se disegnato a ridosso dei margini superiori del foglio, esprime il tentativo di trovare rifugio o sostegno alla propria personalità scarsamente strutturata. Se poi l’albero è “contestualizzato” con ulteriori elementi (sole, nuvole, montagne, paesaggio, case, persone), è importante tener conto della loro collocazione.
Secondo Jung, un foglio si può idealmente considerare diviso in quattro quadranti e un disegno va letto a partire da quello inferiore di sinistra, che rappresenta il passato del disegnatore, mentre in quello superiore di destra viene raffigurato il presente. Gli elementi inclusi nello spazio sottostante quest’ultimo simboleggiano il futuro immediato, a differenza di cosa ci si aspetta più in là nel futuro, compreso il concetto di morte, deducibile dalle figure racchiuse nel primo quadrante in alto a sinistra.
Al di là delle possibili raffigurazioni, è innegabile che l’albero sia sentito come simbolo della vita e in particolare dell’uomo, con le sue componenti “terrene e celesti”. Dai poeti è spesso avvertito come un vecchio saggio imperturbabile e testimone silenzioso dell’inquietudine e dell’impermanenza degli uomini: «Non si sa mai dove trovarli. Il vento li spinge qua e là. Non hanno radici e questo li imbarazza molto», dice un fiore al Piccolo Principe di Saint-Exupéry. E così Lorca: «O solitaria quercia, / lascia nella mia anima / i tuoi segreti e la tua calma passione!» (Quercia). «I pioppi d’argento / si piegano sull’acqua, / tutto sanno, ma non lo diranno», e tuttavia trasmettono un profondo insegnamento: «Bisogna essere come l’albero, / che è sempre in preghiera» (I pioppi d’argento).
Cesare Peri
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