Il bisogno, consapevole o meno, di crescere o la necessità stessa di affrontare o subire cambiamenti si palesa nel percorso di ogni essere, talora non solo come una costante spinta evolutiva, che di fatto accompagna ogni passo, bensì come un passaggio imprescindibile che chiude inesorabilmente una fase della vita e ne apre un’altra del tutto sconosciuta e destinata a essere esplorata. A innescare questo mutamento radicale, che può essere avvertito come il culmine di una maturazione o come un vero e proprio “strappo” nelle abitudini o ritmi esistenziali, non di rado è un avvenimento improvviso, spesso un dolore o un lutto, che sembra oscurare il cammino, creando incertezza e smarrimento, quasi una morte interiore, in fondo alla quale, se non disperiamo, si accenderà la luce di una rinascita.
Sono i cosiddetti momenti di “crisi”. La parola greca krìsis propriamente significa «scelta, decisione, soluzione, giudizio», e di fatto siamo chiamati a trovare una risposta e una via di uscita da una determinata situazione, ma nel tempo è prevalsa l’accezione emotiva e quindi il termine ha assunto una connotazione poco piacevole, se non decisamente negativa. Esso indica anche il culmine di una malattia, oltre il quale si ha la guarigione o la fine, due forme di “rinascita”: una di “ripristino”, di ritorno alla normalità, l’altra avviata verso nuove dimensioni.
Senza spingerci necessariamente nell’Aldilà, possiamo dunque distinguere una fase critica “circolare”, da cui si esce comunque mutati o arricchiti dall’esperienza, e una “verticale”, in cui il cambiamento si rivela una vera e propria trasformazione. I colori che rappresentano (e possono aiutare) questa “gestazione esistenziale” sono rispettivamente il verde e l’indaco.
Non a caso entrambi sono simboli di conoscenza, ma, mentre il verde comprende questo aspetto tra gli altri (amore, armonia, simpatia, equilibrio), nell’indaco esso è prevalente e il tipo di conoscenza è decisamente diverso: nel primo è connesso con il cuore (Anahata chakra) e la percezione razionale (dovuta alla presenza del giallo), mentre nel secondo si collega alla mente/spirito (Ajna, il chakra frontale, tra le sopracciglia) e alla percezione intuitiva.
Ma il significato base di entrambi, che li accomuna, è quello della rinascita. Il verde trae la sua simbologia dal ciclico rinnovarsi della natura: dopo l’apparente morte invernale, ecco il rifiorire della vita. Rinnovamento e sviluppo progressivo, e quindi ripristino e ritrovato equilibrio suggerivano già agli Egizi il colore di Osiride resuscitato grazie alla magia di Iside “la rossa” (il colore complementare, che equilibra e valorizza). È questo un “passaggio” che rassicura, perché approda alla stabilità. Infatti l’archetipo del verde è l’albero, che subisce i periodici mutamenti e tuttavia simboleggia qualcosa di stabile, ben radicato, che infonde sicurezza e pace.
Il verde, così legato alla materia, si affaccia anche sull’aldilà, tanto che i primi cristiani lo scelsero proprio come simbolo di rinascita e gli Aztechi solevano mettere una pietra verde in bocca ai defunti a indicare l’immortalità. Esso include così un cambiamento, ma anche un punto di arrivo, che sia il ritorno alla vita quotidiana o alla casa del Padre.
Non è così per l’indaco, che sottolinea invece l’aspetto dinamico e trasformativo del processo di rinascita, un momento “buio”, anche se «la notte è piena di luci», in cui si entra in un nuovo stato, in un’esperienza di trascendenza destinata a produrre un profondo cambiamento. È il colore dei mutamenti radicali di vita, per decisioni drastiche, conversioni o prossimità a illuminazioni (destinate a compiersi nel chakra coronale, Sahasrara). La sua immagine non è un prato che rinverdisce, bensì la notte profonda, la “notte oscura” di cui parlano i mistici.
Questa “notte” eleva e trasforma la coscienza, nel presentimento di qualcosa di grande che deve disvelarsi (per il mistico l’unione intima con Dio) e non comporta il recupero degli elementi che costituivano il precedente modo di essere, ma anzi ha come condizione di partenza e realizzazione il loro abbandono. È la trasmutazione alchemica, che, secondo il noto motto, consiste nel «coagulare il sottile (favorire la discesa dello Spirito) e sciogliere lo spesso (abbandonare le certezze razionali)», sintesi della pesantezza del nero e della levità dell’azzurro.
Due diversi modi di rinascere, uno ritrovando la fede in se stessi e la forza della ragione, l’altro quella della fiducia nella vita o in qualcosa di più elevato e inconoscibile, che può portare oltre solo se ci si affida.
Cesare Peri
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