Che il simbolismo primario del grigio sia “negativo” (come per il marrone e il rosso bruno) lo confermano i sondaggi di opinione, secondo i quali sarebbe caro solo ai depressi, mentre chi non ha “problemi umorali” predilige senza esitazioni il giallo. Al grigio si è di fatto attribuita una serie di valenze poco lusinghiere: tristezza, monotonia, dubbio, paura, chiusura, anonimato, timidezza, neutralità, severità, mediocrità, timore del giudizio altrui, lutto, sconforto, come rivelano le ben note espressioni «umore grigio», «una giornata grigia», «vedo tutto grigio». Indossato, incute un certo rispetto e pone una barriera tra sé e gli altri. Negli ambienti devitalizza, smorza la voglia di movimento, favorendo piuttosto un’attività sedentaria e ripetitiva.
Da tutti questi giudizi il povero colore sembra uscire così svilito da chiedersi se è possibile individuare comunque un simbolismo secondario positivo, riconoscibile più facilmente in passato, quando, diversamente da oggi, veniva per eccellenza associato alla vecchiaia e quindi alla saggezza e alla conoscenza. Se è vero che il suo archetipo, oltre a quello della nebbia, è soprattutto quello della cenere, nella tradizione cristiana questo simbolo ha fin dall’inizio assunto grande rilievo a indicare la caducità della vita e la morte («Polvere siamo e polvere ritorneremo»), ma a questo si sono aggiunti ulteriori significati, quali l’umiltà, la sottomissione, la mortificazione e quindi purezza, franchezza e sensibilità, tanto che grigio era il colore del saio dei monaci eremiti e cinerina la tonaca originale di San Francesco, tessuta con fili bianchi e neri.
Di conseguenza il grigio racchiude anche sentimenti di pace, di calma interiore, di solitudine e favorisce la riflessione, metodo e ordine nell’agire, stimolando autocontrollo, autosufficienza e senso critico. Inoltre la sua “umiltà” si rivela anche in ambito cromatico, perché a contatto con gli altri colori funge da complementare, donando generosamente risalto a tutti. Ma il suo lato positivo non si esaurisce qui, se, approfondendone la natura, consideriamo lo straordinario apporto simbolico dei due colori che lo costituiscono: il bianco e il nero.
La valenza del grigio nasce infatti dall’unione di due (apparentemente) opposti: l’elemento attivo e manifesto e quello passivo e non manifesto, entrambi espressione di un assoluto, di un tutto che racchiude l’insieme delle potenzialità. Di conseguenza, ponendosi tra (e incorporando) la luce e l’ombra, è stato giustamente definito un colore “intermedio”, a metà strada fra la luminosità e l’oscurità.
Questo evoca il simbolismo della porta, intesa come passaggio tra due realtà, e quindi ritroviamo, in chiave ontologica ed esistenziale, il concetto di trasformazione, già implicito nella cenere. «Quella porta», osserva Payeur, «è presa in prestito dallo spirito al fine di passare dai mondi sottili infiniti al mondo della finitezza e del creato: si tratta di un simbolo di incarnazione», e sottolinea il fatto che questo colore pare sia il primo a essere visto dal neonato, per cui «l’uomo che sta prendendo progressivamente coscienza del suo nuovo stato d’incarnazione vivrebbe essenzialmente nel grigio» (Il chakra radice. La porta sulla realtà materiale, Età dell’Acquario, 1997, p. 41). In questa prospettiva, dunque, il “colore che allontana”, si rivela a noi sempre più vicino, fino a coincidere con la materialità e la concretezza, in tutti suoi aspetti, della vita.
Nella visione cristiana del resto il grigio, in quanto mescolanza di bianco e di nero, non solo rappresenta la morte terrena e l’immortalità spirituale, ma anche la resurrezione, in cui l’anima con l’unione tra materia e spirito ritroverebbe una nuova sostanza corporea, come attesta il colore delle figure dei risorti nelle rappresentazioni pittoriche del Medioevo.
Il “simbolismo secondario” del grigio si rivela così più ricco e profondo di quanto si potrebbe a prima vista supporre: incarnazione, resurrezione, la vita che da “diverse direzioni” prende corpo e si trasforma. È l’esperienza terrena come passaggio, la morte come una porta che si schiude per andare oltre e anche, secondo le varie teorie filosofico-religiose, per fare comunque ritorno. È la nostra vita, fatta di luce e ombra, di anima e corpo, con tutte le potenzialità da conoscere e sviluppare, tanto che Goethe, nella sua Teoria dei colori, afferma che il colore che riunisce tutti gli altri non è il bianco, ma il grigio, definendolo colore “medio”.
Allora il grigio inteso come noia e tristezza apparirebbe piuttosto come un modo infelice o errato di vivere le sue potenzialità, che racchiudono gioia e speranza. Già alla fine del Medioevo gli si dava significato positivo, in opposizione al nero, considerandolo un simbolo di speranza e di felicità, come nota Pastoureau, citando la poesia di Charles d’Orlèans intitolata «Il grigio della speranza» (Il piccolo libro dei colori, Ponte delle Grazie, 2016, p. 100).
Da una prima lettura del grigio, ridotto dal senso comune al grigiore dell’esistenza, siamo così giunti sulla soglia di un senso più profondo, che simboleggia la vita stessa nel suo passaggio tra due realtà, sorretta e coronata dalla speranza. «Questo grigio forse non del tutto inerte», osserva Brusatin , «ma producente e avvolgente, di cui possiamo individuare più di un centinaio di tonalità, s’impone nella contrapposizione al verde, colore altrettanto necessario alle speranze della nostra civiltà» (Storia dei colori, Einaudi, 2000, p. 116) e ricorda il pensiero di Kandinskij, che, se da una parte riconosce «l’inconsolabilità e l’oppressione soffocante del grigio scuro», dall’altra dice che «se invece dà nel chiaro, una specie di aria, di possibilità di respiro, penetra nel colore stesso, che contiene in sé un elemento di celata speranza» (Lo spirituale nell’arte, De Donato, 1972, p. 69).
Cesare Peri
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