Tutti noi, in cammino lungo il viaggio della vita, cerchiamo delle indicazioni e molteplici sono quelle che troviamo: alcuni cartelli ci indicano strade che già conosciamo (non per questo meno valide); le guide che incontriamo possono portarci attraverso sentieri sconosciuti, ma che -dopo pochi passi appena- ci appaiono già familiari e confortanti; altre voci invece, ci propongono percorsi che ci sembrano eccessivamente tortuosi o ripidi.
Spesso è perché queste voci hanno, in quel momento, una vibrazione diversa dalla nostra o perché parlano una lingua che ancora non conosciamo.
Tante, troppe volte ho pensato di dover raccogliere la sfida, di dover arrivare alla fine di quel percorso tanto estraneo e faticoso (che poi fine non ha, perché non è la meta che conta…), ma finivo sempre coi crampi alle gambe e così stremata da non capire nemmeno dove stavo andando.
Una di quelle voci suggeriva “l’impermanenza”, dopo qualche curva e uno strapiombo da vertigine, ho capito che non era la mia strada.
Credo che sia quella dei grandi Uomini, degli Illuminati o delle persone che hanno perso la fiducia.
Per me è troppo presto o… troppo tardi, per ogni cosa c’è un tempo.
Per me è il tempo delle Celebrazioni. Celebrare in latino significa anche abitare.
Abitare, “stare” nella vita, nello spazio e nel tempo, starci dentro perché niente vada perduto.
L’impermanenza mi rattrista perché mi sembra uno spreco.
Ci sono luoghi, momenti, sentimenti facili da celebrare, richiami tangibili al Divino che è in noi.
Ce ne sono altri, piatti, ripetitivi e grigi (spesso la maggior parte!) o pericolosi e angoscianti di fronte ai quali, sembra si possa solo auspicare un Principio Impermanente.
Abitiamo anche questi! “Stiamo”!
Anche qui c’è del buono da Celebrare, proviamo ad avere fiducia, sorridiamo mentre camminiamo.
Interroghiamo la Crisi e noi stessi, non solo in cerca di risposte, magari abbiamo bisogno di nuove domande.
Abitiamo ogni luogo dell’anima come fossimo ospiti in una casa importante, col rispetto dovuto al luogo e a noi stessi. Se il cuore non è aperto e l’animo non è elevato, non disonoriamo i nostri ospiti e noi costringendoci a fare qualcosa che non sentiamo. E’ inutile.
È il momento di accettare la nostra incapacità, abitiamola e usciamo con dignità da quell’altra casa. Bisogna imparare a riconoscere qual è il nostro luogo, in un dato momento.
Non penso che tutto questo sia facile, né tanto meno voglio farlo credere; è insanabile l’inquietudine che a volte sento, ma quando leggo, ascolto un brano di musica, comunico davvero qualcosa a qualcuno o quando riconosco un mondo in uno sguardo, sento che per un attimo Creato e Creatore sono Uno.
Questi sono dei modi di Celebrare. Si può dipingere, camminare, curare i figli o navigare gli oceani…
Qual è il vostro modo?
Quali strade ha percorso il vostro cuore e quali voci sentite invece, ancora troppo lontane?
Nicol..
Lascia un commento con Facebook