Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

Giugno 2010

16. I CODICI DI NUT E LO ZODIACO DI DENDERAH – PARTE 2/3

– Poteva Osiride essere un Nommo?

Secondo me l’associazione è possibile. Se osserviamo la parte inferiore del dipinto troviamo Osiride con le tre Dee vicine. Nell’antico Egitto l’imbarcazione di Sirio trasportava tre dee: Iside-Sothis, chiamata anche Anukis, che navigava nel vascello insieme a Satis e Nefti. I Dogon dicono che “il periodo di tempo dell’orbita è calcolato doppio, cioè 100 anni, perchè i Sigui si celebrano in coppia di ‘gemelli’, per insistere sul principio base della “gemellanza”. Le due Dee nel dipinto si assomigliano. La cerimonia del Sigui, a cui si allude, simboleggia il ritrovamento del mondo e si celebra ogni 60 anni.

Gli antichi faraoni egiziani andarono alla ricerca della “Pianta della Vita” che si trovava nel regno celeste di Ra, sulla “Stella Imperitura“. Questa pianta aveva la capacità di dare l’immortalità o vita eterna. Vari testi nelle tombe dei faraoni parlano di un luogo al di là di un lago, dopo un deserto e una catena di monti, sorvegliato a vista da vari dèi guardiani: era il Duat, una magica «dimora per salire alle stelle», suddivisa in dodici parti, che si attraversava in dodici ore (lo Zodiaco di Denderah?).

Il nome e la localizzazione sono stati a lungo oggetto di discussione tra gli studiosi. Veniva rappresentata come una stella unita ad un falco o come una stella unita da un cerchio (stella a otto punte). Era concepita come un “Circolo degli Dei” completamente chiuso, alla cui estremità, vi era un’apertura verso il cielo, attraverso cui si poteva raggiungere la Stella Imperitura.

A fatica il re doveva quindi raggiungere il “Luogo Nascosto” e attraversare labirinti sotterranei, finché non fosse riuscito a trovare un dio che portasse l’emblema dell’Albero della Vita e un altro dio che fosse il “Messaggero del Cielo“. Questi dèi gli avrebbero aperto i cancelli segreti e lo avrebbero condotto presso l’Occhio di Horus, una Scala Celeste su cui egli sarebbe salito al cielo.

La Bocca della Terra si apre per te.. la Porta Orientale del cielo è aperta per te”. Credo che questa cerimonia fosse il rituale “dell’Apertura della Bocca“, la falsa porta.

– Uno Star-Gate?

Perché no? La “scala che porta fino al cielo”, la Scala Celeste. Come riportato nei testi sacri del Duat, “il faraone doveva raggiungerla nella “Casa dei Due”: entrare nell’Amen-Ta la terra di Seker, il Luogo Nascosto, e con la “voce” ottenere il permesso di entrare”.

Notate Osiride nel mezzo del dipinto di Nut. Sopra la testa c’è una bocca aperta. Dove si trova la scala ci sono “due” vascelli, la Casa dei Due. Una era la barca diurna m’ndt, l’altra, la barca notturna msktt , trainata da sciacalli sulle sabbie del mondo sotterraneo. Gli sciacalli sono raffigurati sotto d’avanti i sei omini che fanno l’imposizione delle mani.

Nella mitologia sumera troviamo Nibiru, il pianeta degli Anunnaki, esseri giganti ed anfibi, che secondo la storia riportataci, starebbero ritornando verso la Terra, come fecero già in passato.

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15. I CODICI DI NUT E LO ZODIACO DI DENDERAH – PARTE 1/3

Intervista a Monica Caron

Ho conosciuto Monica attraverso il Web: qualche tempo fa infatti mi mandò un suo dettagliato studio sullo zodiaco di Denderah. Ci conoscemmo di persona a Torino, in occasione di una mia conferenza. Io credo molto nell’intuizione personale e nella ricerca indipendente: più volte mi sono imbattuto in persone che – pur non avendo specifici titoli accademici – hanno dato un grande contributo alla ricerca. Penso ad esempio al giornalista Graham Hancock e all’ingegnere civile Robert Bauval, cari amici che hanno dato prova di grande intuizione e soprattutto di grande passione, oggi agli onori della fama mondiale.

Come ho fatto con Armando Mei, ho deciso ora di chiedere un’intervista a Monica Caron, che riporto qui in tre parti.

Molte ipotesi di Monica sembreranno bizzarre e del tutto audaci le ricostruzioni fatte. Eppure, a mio avviso, nel suo racconto, molto più articolato nella tesi completa che Monica ha avuto la gentilezza di inviarmi, c’è qualcosa che mi colpisce: che mi tocca nel profondo.

– Cara Monica, parlami delle tue ricerche, della loro origine e delle ipotesi che hai voluto formulare.

Il mio lavoro si basa sullo studio delle possibili correlazioni tra le rappresentazioni della dea Hathor e della dea Nut con lo zodiaco di Denderah.

La dea Nut rappresentava la volta celeste e il ciclo siriaco.

Sirio-Sothis scompariva “nel Duat”, o mondo sotterraneo e non era più visibile fino alla sua ricomparsa che non segnava soltanto l’inizio dell’anno, ma annunciava anche l’imminenza dell’inondazione del Nilo. Si riteneva che in questo periodo Sothis fosse morta e che quindi si stesse purificando. Solo dopo la sua ricomparsa si festeggiava la rinascita.

È stato scoperto che la tribù dei Dogon nello stato del Mali, si tramandava questa antica conoscenza, di cui, dal punto di vista archeologico, non si spiega l’origine: il sistema di Sirio è composto da Sirio A e B. Sirio A è la stella principale, che potremmo assimilare alla dea Iside. La tribù dei Bozo nel Mali, che è affine ai Dogon, descrive Sirio B come la “stella dell’occhio”. Gli Egizi, come sappiamo, rappresentavano Osiride anche sotto forma di “occhio” e Iside nei cieli era la stella imperitura, la sua compagna. Questo per dire che le radici della mitologia egizia potrebbero affondare davvero nella “notte dei tempi”.

Nel dipinto più rappresentativo di Nut, di cui ci occupiamo in particolare in questa sede, appare un particolare che ricorda la prua di un’imbarcazione. Si può notare chiaramente il taglio trasversale, proprio per dare la parvenza di una barca. Come si vede, ci sono cinque rematori, di cui quello centrale si distingue per il copricapo.

Sul dipinto tutti i rematori hanno in mano un remo, ma visto che i remi sono 5, per rendere evidente il numero 50 sono state messe a fianco dieci tacche. Questo numero corrisponde al numero dei rematori dell’imbarcazione celeste che ricorda la mitica imbarcazione con a capo Giasone e i 50 Argonauti, la nave degli Annunaki, o addirittura Enki che nel mito sumerico compare sempre nella sua dimora in fondo all’Abzu, o Abisso di acqua dolce.

– Vuoi quindi tentare un aggancio anche con la mitologia sumera?

In effetti Enki sarebbe figlio di Anu, re di Nibiru, pianeta da cui sarebbero discesi i progenitori dell’umanità. Fu proprio Enki ad avvisare e consigliare al proto-Noè dei sumeri, dell’imminente catastrofe che incombeva sull’umanità, e a far costruire un’arca, prima del diluvio. Nelle pagine storiche, il proto-Noè libera dall’arca degli uccelli per far si che vadano in cerca di terra asciutta, proprio come fece il Noè ebraico e il mitico Giasone affinché si trovasse la via attraverso le Rupi Erranti.

Il Dio Enki veniva associato a Oannes, il misterioso pesce umano, creatura anfibia, detto anche il Signore delle Onde. L’unico disegno originale degli scavi di Kouyunjik – in Iraq – tuttora conservato al British Museum, rappresenta una scultura del Dio che regge una cesta misteriosa. Anche l’uccello del dipinto sembra portare a tracolla la stessa cesta.

Anche nella tradizione Dogon abbiamo degli esseri anfibi, metà uomo metà pesce. Il Dio dell’universo Amma inviò questi esseri sulla Terra: i Nommo, detti “Padroni dell’Acqua”, i “Consiglieri” o gli “Istruttori”. “La sede dei Nommo è nell’acqua”. Ciò corrisponde alla tradizione babilonese, in cui il dio Ea, come il sumerico Enki, viveva in acqua e veniva a volte associato a Oannes.

“Scesero sulla Terra su di un’arca, che approdò a nord-est del paese, l’Egitto, nella arida terra della Volpe. A nord le Pleiadi, a est Venere, a ovest la Stella con la Grande Coda, a sud Orione. Ne uscirono dei ‘quadrupedi’ che la trascinarono fino ad una cavità, poi la cavità si riempì d’acqua”.

Essi descrivono anche il suono dell’atterraggio. “Mentre scendeva, la parola del Nommo uscì dalla sua bocca. L’arca era rosso fuoco e quando atterrò divenne bianca. In cielo era apparsa una stella luminosissima, che scomparve quando i Nommo se ne andarono”.

Secondo la leggenda i Nommo ritorneranno: ci sarà una loro “resurrezione”, e in cielo apparirà una stella detta ie pelu tol, rappresentata come “l’occhio del Nommo risorto”.

Interessanti le similitudini con la tradizione del Dio Osiride. Sempre vicino alla testa di Nut, c’è un occhio con il remo, forse per indicare i rematori, o visto che l’occhio rappresenta anche Osiride, volevano sottolineare che lui governava la barca?

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14. PRESENTAZIONE ALLA LIBRERIA ESOTERICA

Sabato 5 giugno ho avuto modo di presentare il mio recente libro Nient’Altro che Sé Stessi (Nexus) presso la Libreria Esoterica di Milano, di cui ringrazio l’organizzazione per la gentile ospitalità.

E’ stata l’occasione per riflettere ancora una volta sugli scenari attuali della domanda/offerta spirituale e districarsi tra gli incanti e i disincanti di questa “nuova era”, non senza un pizzico di ironia.

Vi propongo gli estratti della presentazione, partendo dalla conclusione del mio intervento (gli altri estratti potete ascoltarli seguendo i link indicati) ma prima colgo l’occasione per condividere qualche ulteriore considerazione.

Di solito, stufi di una sempre più evidente, insopportabile e globalizzata presa per i fondelli, ci si comincia ad interessare di dietrologia politica, ufo, meditazione, archeologia misteriosa, benessere olistico. Si fanno corsi e seminari, si leggono libri e riviste alla caccia di qualche indizio, di quale metodo, forse di qualche idea interessante, liberatoria e appagante, troppo spesso dimenticandosi, strada facendo, della domanda originale, ovvero delle intenzioni e delle necessità originali che hanno spinto verso una certa ricerca. Che è prima di tutto, in fondo, una ricerca di senso.

Si collezionano libri, corsi e magari – dato che tutto sommato può sembrare facile – se si ha un po’ di carisma personale ci si improvvisa pure divulgatori: coi tempi che corrono è il business del momento nel quale eventualmente riciclarsi; a volte basta saper comunicare e spararle grosse. Desolante vero?

Quando poi ci si accorge del caos nel quale si è finiti spesso sorge naturale un certo rifiuto, una sorta di cinismo, oppure si finisce in qualche rassicurante, quanto demenziale, setta, ai piedi del prontissimo “guru” di turno.

Insomma, si passa da un’illusione all’altra, da una suggestione a un’altra, da un sogno a un altro, che non di rado si trasforma in incubo. Ben inteso che i riferimenti, i maestri, i guaritori, i relatori di ogni sorta possono essere tutti validi stimoli: punti di riferimento formativi e fonte di ispirazione, ma vanno ineludibilmente trascesi e lasciati alle nostre spalle; e saranno loro stessi – se autentici – ad applaudire la nostra scelta, il nostro passo avanti, la nostra liberazione anche da loro e dal loro insegnamento (che è pur sempre il “loro”, ma non il nostro! Non il tuo!).

Le scuole, proprio in quanto tali, vanno lasciate; altrimenti non sono scuole ma sette, a meno che non si condivida un progetto specifico, ma attenzione: che sia sempre anche il vostro progetto. Che si conservi proprio per quel progetto in cui credevate e credete ancora, e che non diventi l’ennesimo nascondiglio, l’ennesimo imbroglio. Non ci sono giustificazioni: mezzi sbagliati non possono condurre a fini giusti. La vittoria spirituale la si misura non dall’aver raggiunto un fine, bensì dai mezzi usati.

Se non comprendi che tu sei il Buddha,

che senso ha cercare la ricchezza fuori di te?

Se non puoi meditare spontaneamente

cosa guadagnerai nell’allontanare i pensieri?

Se non sai armonizzare la pratica della meditazione con la tua vita,

non sei, probabilmente, solo un imbecille confuso?

Se non acquisisci intuitivamente la visione dell’illuminazione,

a cosa ti serve una ricerca sistematica?

Sei vivo grazie ad un energia e ad un tempo che non ti appartengono,

se sprechi la tua vita, chi pagherà i tuoi debiti in futuro?

Vestito solo di stracci e di cotone

cosa ci guadagna l’asceta a ricercare il freddo dell’inverno quaggiù?

Il novizio che raddoppia gli sforzi ma che non riceve istruzioni complete

è come una formica che cerca di scalare una montagna di sabbia:

non otterrà nulla!

Accumulare istruzioni senza riuscire a cogliere la vera natura della mente,

è come morire di fame davanti ad una dispensa traboccante.

[…]

Comprendi alfine l’essenza dell’insegnamento in questa vita,

e praticala!

Ghesce Ciapu

CONCLUSIONE DELL’INTERVENTO ALLA LIBRERIA ESOTERICA (audio – parte 7):

Parte 1

Parte 2

Parte 3

Parte 4

Parte 5

Parte 6

13. L’ESOTERISMO DEGLI SCACCHI

La storia degli scacchi è millenaria. Indubbiamente ci giungono dall’oriente: dall’India, dalla Cina, dalla Persia, ma è difficile darne una datazione d’origine precisa. Nella tomba di Nefertari, moglie di Ramsete II, troviamo rappresentata, in un bassorilievo, proprio la regina impegnata nel gioco.

Sappiamo della loro esistenza in India già da molti secoli prima dell’era cristiana, sotto la forma del “ciaturraja”. In sanscrito significava “le quattro parti di un tutto” e il gioco faceva riferimento alle strategie ed alle armi del tempo: fanteria, cavalleria, elefanti e carri di battaglia. Si trattava infatti di un gioco di simulazione bellica tra due eserciti in miniatura guidati da un re e da un generale consigliere e costituiti di otto fanti, due cavalli, due elefanti e due carri da guerra.

Tra realtà e leggenda, ritroviamo il gioco degli scacchi nelle narrazioni del “Libro dei Re” di Abdul Qazim Hassan, il poeta persiano visse attorno all’anno 1000. Infatti, dall’India il gioco si trasmise in Persia già nel VI secolo d.C., per poi permeare la cultura araba. “Shatmat” (scacco matto) è una parola persiana/araba che significa “re ucciso”. Dal mondo arabo, il gioco si diffuse nell’Impero bizantino, in Spagna e quindi in tutta Europa, attraverso mercanti e crociati. Tuttavia, da alcune tracce ritrovate a Pompei, si direbbe che in Italia il gioco fosse già conosciuto, addirittura dal I sec. a.C.

Il gioco si diffonde in tutta Europa, dove subisce una serie di modifiche: per esempio, dall’arabo “firz”(generale o consigliere) si arriva al francese “fierce – fierge – vierge” quindi “vergine”, ovvero la “regina”. Gli elefanti diventano alfieri (dal latino medievale “alphinus”) e il carro da battaglia si trasforma in torre (o “rocco”, dalla parola araba “rukhkh”).

Il gioco era prerogativa degli aristocratici, e lo troviamo in ambienti “iniziatici”: veniva considerato uno strumento per lo studio della strategia militare, ma anche un “rito” per la divinazione e la propiziazione. Se ne fece risalire l’origine mitica all’eroe greco Palamede.

Il gioco degli scacchi, scienza e arte nel contempo, sviluppa l’attenzione, la concentrazione, la memoria, il discernimento e numerose altre qualità dell’intelletto e dello spirito. Ed è a sua volta una pratica meditativa, esoterica, grazie al ricco simbolismo che è metafora degli eventi della vita, della lotta per l’esistenza, della vittoria, della sconfitta, del sacrificio, della vita e della morte. Innalza la mente in una lotta trascendente, nel contesto di uno scenario interiore e sacrale.

Le corrispondenze magiche si rendono evidenti nel simbolismo della scacchiera e dei numeri. 8 caselle per lato, per un totale di 64 caselle che si intrecciano nel gioco del bianco e del nero, del bene e del male: simbolismo riproposto nei templi massonici. Il numero 8 rappresenta la completezza dei cicli vitali e la stabilità interiore, e il suo quadrato, il numero 64 ha valore numerologico 10 (6+4), numero fondamentale nella tradizione pitagorica.

Ogni giocatore si muove su 16 elementi, ovvero il quadrato di 4, simbolo della volontà umana (che muove i pezzi) e, numerologicamente, 1+6 = 7, simbolo di ogni perfezione ideale cui tendere.

Il fatto di elevare i numeri a potenza indica, nella tradizione orientale, lo sviluppo dei loro significati sul piano macrocosmico. Per cui ecco la doppia lettura dei numeri coinvolti nel gioco che si trasforma in una rappresentazione dell’ordine naturale e cosmico.

Ogni movimento è un atto di creazione inserito in un’alchimia complessa di moti possibili, di contrasti e di alleanze, riflessi di meccaniche cosmiche e nel contempo di percorsi evolutivi personali.