Jonathan Henry Sacks è un rabbino britannico ed è considerato la massima autorità spirituale ebraica ortodossa in Gran Bretagna. Nel suo discorso di quest’anno a TED2017, Rabbi Lord Jonathan Sacks ci parla del particolare momento storico che stiamo vivendo, spesso caratterizzato da ansia e incertezze. C’è qualcosa che ognuno di noi puoi fare per affrontare il futuro senza paura? La risposta è sì, ed è passare dalla politica del “me” alla politica del “tutti noi insieme.”
Traduzione del video:
“Questi sono i tempi”, disse Thomas Paine, che mettono alla prova l’animo degli uomini”. E ora sfidano il nostro. È un momento pieno di conseguenze, per la storia dell’Occidente. Abbiamo visto elezioni laceranti, e società lacerate. Una crescita dell’estremismo in politica e nella religione, alimentato da ansietà, incertezza e paura, paura di un mondo che cambia a un ritmo quasi insostenibile, e con la sola certezza che quel ritmo aumenterà. Ho un amico, a Washington. Gli ho chiesto com’è stato vivere lì durante le recenti elezioni presidenziali. Mi ha risposto: “Beh, sembrava la barzelletta dell’uomo seduto sul ponte del Titanic, con un bicchiere di whiskey in mano, che dice, ‘Certo che avevo chiesto del ghiaccio (Risate), ma questo è esagerato'”.
Ma c’è qualcosa che possiamo fare, ognuno di noi, per riuscire ad affrontare il futuro senza paura?
Penso di sì. E uno dei modi è vedere che forse la maniera più semplice di cogliere una cultura, un’era, è chiedersi: “Cosa venerano le persone?” La gente ha venerato moltissime cose diverse: il Sole; le stelle; le tempeste. Alcuni venerano molti dèi; altri uno; altri nessuno. Nei secoli XIX e XX, le persone hanno creduto nella nazione, nella razza ariana, nello stato comunista. E noi, in cosa crediamo? Penso che gli antropologi del futuro guarderanno ai libri che abbiamo scritto sull’auto-aiuto, l’auto-realizzazione, l’autostima. Guarderanno al modo in cui parliamo della moralità come fedeltà a se stessi, al modo in cui riduciamo la politica a una questione di diritti individuali e osserveranno questo nostro nuovo, straordinario rituale religioso. Lo conoscete? Si chiama “selfie”. E penso che concluderanno che la vera fede del nostro tempo sia nel sé, nel me, nell’io.
E questo è fantastico. È liberatorio. Dà forza. È magnifico. Ma biologicamente, non dimenticatelo, siamo animali sociali. Abbiamo trascorso la maggior parte della nostra storia evolutiva in piccoli gruppi. Dobbiamo tornare a queste interazioni faccia-a-faccia nelle quali impariamo la coreografia dell’altruismo e creiamo questi beni spirituali come l’amicizia, la fiducia, la lealtà e l’amore che alleviano la nostra solitudine.
Quando abbiamo troppo “io” e troppo poco “noi”, ci ritroviamo vulnerabili, spaventati e soli. Non è un caso se Sherry Turkle, del MIT, ha intitolato il suo libro, sull’impatto dei media sociali, Insieme ma soli. Penso quindi che il modo più semplice di proteggere il futuro “tu” sia rafforzare il futuro “noi” sotto tre profili: il noi delle relazioni; il noi dell’identità e il noi della responsabilità.
Lasciatemi iniziare con il noi delle relazioni.
E qui, perdonatemi se entro nel personale. C’è stato un tempo, molti anni fa, in cui ero uno studente universitario, ventenne, di filosofia. Mi occupavo di Nietzsche, Schopenauer, Sartre e Camus. Ero pieno di incertezze ontologiche e angosce esistenziali. Era fantastico (Risate). Ero ossessionato da me stesso e ostinatamente scorbutico, fino al giorno in cui vidi, dall’altra parte del chiostro, una ragazza che era tutto ciò che io non ero. Irradiava luce. Emanava gioia. Scoprii che si chiamava Elaine. La incontrai. Le parlai. Ci sposammo. E 47 anni, tre figli e otto nipoti dopo, posso dire con sicurezza che fu la miglior decisione della mia vita, perché sono le persone diverse da noi a farci crescere. Ed ecco perché penso che dovremmo farlo. Il problema dei filtri di Google, degli amici di Facebook e dei media specializzati, anziché generalisti, è che siamo quasi completamente circondati da persone come noi i cui punti di vista, le opinioni, persino i pregiudizi, rispecchiano i nostri. E Cass Sunstein, di Harvard, ha dimostrato che se ci circondiamo da persone troppo affini a noi, ci radicalizziamo.
Penso che dovremmo tornare a questi incontri faccia-a-faccia con persone diverse da noi. Penso che dovremmo farlo per renderci conto che si può dissentire fortemente e restare comunque amici. È in questi incontri di persona che scopriamo come le persone diverse da noi sono persone, proprio come noi. E a dire il vero, ogni volta che tendiamo la mano in segno di amicizia a qualcuno diverso da noi, la cui classe, o credo, o colore, sono diversi dai nostri, in realtà curiamo una delle fratture del nostro mondo ferito. È questo il noi delle relazioni.
Poi c’è il noi dell’identità.
Vorrei fare, ora, un esperimento mentale. Siete mai stati a Washington? Avete visto i memoriali? Assolutamente affascinante. C’è il Lincoln Memorial: il Discorso di Gettysburg da un lato, il Secondo Discorso Inaugurale dall’altro. Andate al Jefferson Memorial, [e trovate] fiumi di parole. Il Martin Luther King Memorial? Oltre una dozzina di citazioni dei suoi discorsi. Non mi ero reso conto che in America leggeste i memoriali. Andate ora all’equivalente di Londra, in Parliament Square, e troverete che il monumento a David Lloyd George contiene tre parole: David Lloyd George (Risate). Quello a Nelson Mandela solo due. E quello a Churchill solo una: Churchill (Risate). Perché questa differenza? Ve lo dico io. Perché l’America ha assistito, fin dall’inizio, a ondate di immigrazione, perciò ha dovuto crearsi un’identità e l’ha fatto elaborando una narrazione che avete imparato a scuola, letto sui memoriali, e la sentite ripetere nei discorsi inaugurali presidenziali. In Gran Bretagna, fino a poco tempo fa, c’erano pochi immigrati, quindi la sua identità poteva darla per scontata.
Il problema, ora, è che sono avvenute due cose che non dovrebbero avvenire insieme. La prima è che in Occidente abbiamo abbandonato questa narrazione di chi siamo e perché, persino in America. E nel contempo, l’immigrazione incalza più che mai. Quando avete una narrazione, e la vostra identità è forte, potete dare il benvenuto allo straniero; ma quando smettete di raccontarla, l’identità si indebolisce e vi sentite minacciati dallo straniero. E questo è un male. Gli Ebrei sono stati perseguitati, cacciati ed esiliati per 2.000 anni. Ma la loro identità ha resistito. Perché? Perché almeno una volta all’anno, durante la nostra Pasqua, raccontiamo la nostra storia e la insegniamo ai nostri figli, mangiamo il pane azzimo dell’afflizione e l’erba amara della schiavitù. E non abbiamo mai perso la nostra identità.
Penso che, collettivamente, dovremmo ritornare a narrare la nostra storia, la storia di chi siamo, e da dove veniamo, degli ideali per cui viviamo. E se questo avverrà, diventeremo abbastanza forti da dare il benvenuto allo straniero e dirgli: “Vieni e condividiamo le nostre vite, le nostre storie, le nostre aspirazioni, i nostri sogni”. Quello è il noi dell’identità.
E infine c’è il noi della responsabilità.
Volete sapere una cosa? La mia frase preferita della retorica politica, ed è una frase molto americana, è: “Noi, la gente”. Perché “Noi, la gente?” Perché afferma che tutti noi condividiamo una responsabilità collettiva verso il nostro futuro collettivo. Ed è così che le cose dovrebbero essere. Avete mai notato quanto il “pensiero magico” domini la politica di oggi? Ci diciamo che basta eleggere quel leader forte e lui, o lei, risolverà tutti i problemi per conto nostro. Credetemi, è pensiero magico. E poi arriviamo agli estremi: l’estrema destra, l’estrema sinistra, gli estremisti religiosi e anti-religiosi; l’estrema destra che vagheggia un’età dell’oro mai esistita, mentre l’estrema sinistra sogna un’utopia irrealizzabile e i religiosi sono convinti quanto gli atei che solo Dio, o la sua assenza, ci salverà da noi stessi. Anche questo è pensiero magico, perché le sole persone che ci salveranno da noi stessi siamo noi, le persone. Tutti noi, uniti. E quando lo facciamo, e passiamo da una politica del “me” a una politica del tutti noi insieme, riscopriamo alcune belle verità che vanno contro le aspettative: che una nazione è forte quando si cura del debole. Una nazione diventa ricca quando si cura dei poveri. Diventa invulnerabile quando si cura del vulnerabile. È questo, che rende grande le nazioni (Applausi).
Ecco quindi il mio semplice suggerimento. Potrebbe cambiarvi la vita e potrebbe favorire l’inizio di un cambiamento mondiale. Fate un’operazione di “trova e sostituisci” nel copione della vostra mente, e ogni volta che incontrate la parola “auto” sostituitela con “altro”. Invece di autoaiuto, aiuto dell’altro; invece di autostima, stima dell’altro. Se lo farete, inizierete a sentire la forza di quella che per me è una delle frasi più emozionanti d tutta la letteratura religiosa: “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me”. Potremo affrontare senza paura qualunque futuro, finché sapremo che non saremo soli. Per il bene del futuro “tu”, oggi rafforziamo, insieme, il futuro “noi”.
Grazie.
Fonte: Ted.com..
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