Tutti hanno bisogno di sapere da dove vengono per potersi costruire. Partendo da questo presupposto vorrei fare con voi un viaggio, ma non vi anticipo nulla, andiamo insieme…
La prima autrice che vi presento è Marie Rose Morò, è grazie anche a lei che oggi possiamo parlare di etnopsicoanalisi (per i dettagli biografici, bibliografia etc… so che ve la caverete da soli, proverò a sintetizzarvi -dunque- parte del suo pensiero).
Partiamo dal concreto, dalla necessità di aiutare, curare, comprendere l’Altro, lo straniero, l’immigrato.
Per fare questo, le pratiche psicoterapiche esistenti hanno avuto bisogno di sporcarsi e il meticciato –come sempre fecondo- ha dato origine alla terapia transculturale: un nuovo dispositivo che tiene conto della cultura d’origine, dell’Alterità, disciplina il cui oggetto di studio sono le rappresentazioni culturali e le organizzazioni umane con le loro logiche politiche, sociali e spirituali.
E qui vi lancio il primo sassolino: una delle parole d’ordine di questa disciplina è il decentramento, cosa vuol dire secondo voi -al di là delle implicazioni teoriche-? Per me vuol dire moltiplicare i riferimenti di lettura di un fatto, comprendere la diversità nel senso di accettare l’altro da sé, senza averne paura, senza eccedere nella fascinazione, senza desiderare la sua trasformazione o la nostra…
Oggi più che mai tutto questo mi sembra necessario. Impariamo a capire che si tratta di un atteggiamento tutt’altro che pericoloso, anzi è semmai fonte di un’ineguagliata ricchezza. Applicando questo principio infatti, dal concreto arriviamo al simbolico, all’astratto (vi invito a leggere le trascrizioni di alcune sedute di etnopsicoanalisi, io le trovo di un interesse straordinario….!). Ci avviciniamo sempre di più alla ricerca, all’origine di noi stessi e dunque dell’Uomo, visto nella sua Singolarità e Universalità.
La costruzione dell’identità, non è qualcosa di statico ma è un processo, una continua dialettica tra incontri, interazioni e valori, percorsa da una costante tensione dinamica tipica di ogni sistema complesso.
Ed è proprio a partire dallo studio di questo tipo di sistemi che Bert Hellinger ha iniziato a parlare di Costellazioni Familiari (sviluppando le idee di base della psicologia sistemica….).
A questo punto del nostro viaggio, smetto di parlare e lascio che sia la voce di un esperto a guidarvi.
Un video-sassolino, dalle costellazioni familiari alle correlazioni sistemiche:
Torniamo ora al simbolo, alla cosmogonia che con un salto ci porta allo Sciamanesimo e ai riti di guarigione (sembra un bel salto -lo so- ma spero di farvi capire come il territorio dell’atto, dell’agito, dello sciamano non sia poi così lontano da quello delle parole, delle rappresentazioni e del terapeuta, ci stiamo muovendo lungo uncontinuum…).
Concedetemi però, un’ultima digressione, prima di farvi incontrare il prossimo autore.
Freud ha detto che il soggetto non può che definirsi in relazione ai suoi genitori…. Allarghiamo la visuale, decentriamoci: la vita è relazione, noi siamo le nostre relazioni. Queste però sono certamente predeterminate dalle nostre rappresentazioni collettive che contengono a loro volta le nostre proiezioni individuali.
Qui però non si tratta di ragionare per somma o sottrazione, l’uno non è riconducibile all’altro ed è proprio questo che ci porta a riconoscerci come Unici nella Creazione.
Provo a essere più chiara: noi siamo una gestalt, siamo la somma del nostro bagaglio genetico, del nostro karma, ma siamo anche frutto del contesto in cui nasciamo e viviamo, le nostre interrelazioni sono strutturanti. E qui arriviamo al punto che mi sta più a cuore, noi riflettiamo caratteristiche, punti di forza, nodi, malattie, posture, inclinazioni, lineamenti non solo dei nostri genitori, ma di tutti i nostri avi, portiamo dentro di noi l’intera nostra stirpe. E certo, non solo a livello cellulare, biologico ma soprattutto a livello emozionale e profondo noi ci portiamo dentro le proiezioni di intere generazioni. Nell’inconscio non esiste distinzione tra oggettivo e soggettivo, tra reale e metaforico, esso infatti proietta indistintamente all’esterno tutto ciò che lo attraversa.
Altro sassolino: scriviamo (nella nostra mente, in un file o in un quaderno, non importa….) la storia della nostra famiglia, facciamoci raccontare -da chi è ancora in vita- le nostre origini, andiamo alla scoperta della più importante tra le eredità, le nostre radici. Non certo per tagliarle, anche se probabilmente ci hanno creato non pochi problemi, ma per osservarne le diramazioni e i nodi. Perché prima di superarli dobbiamo diventare consapevoli della loro presenza e del loro significato.
Eccoci pronti per incontrare la nostra terza guida, Cristobal Jodorowsky col suo psicosciamanesimo. Il suo è un linguaggio artistico che utilizza dei simboli inconsci, cioè simboli in grado di superare la barriera di censura logica della coscienza. Egli propone all’interlocutore un gesto da realizzare, più analogico che logico, con un dirompente impatto emotivo, che lo porterà a vedere e a percepire la propria realtà da un punto altro, diverso e nuovo. Quindi l’interlocutore, realizzando il gesto proposto, spezza la quotidianità delle proprie problematiche e del suo personale vissuto, per arrivare a una nuova percezione del problema.
Come gli atti degli Sciamani tradizionali, questa tecnica porta il consultante a trovare dentro di sé la strada per la guarigione e le operazioni metaforiche, effettuate sul corpo fisico, altro non fanno che parlare direttamente all’inconscio aiutandoci a superare i blocchi ereditati in genere, dalla storia familiare.
Un contributo “sciamanico-sistemico”:
Ed ecco che il cerchio si chiude, abbiamo affrontato il tema delle Radici, da tre punti di vista che, utilizzano linguaggi -a volte- differenti ma attingono alle medesime strutture universali, al di là delle Ere e dei Continenti… Sono convinta però che di letture ce ne possano essere molte altre…
Vi va di proporcene qualcuna?
Che ne pensate dei sassolini che vi ho lanciato? Ora tocca a voi…
Nicol..
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