Perdere di vista i propri obiettivi fondamentali. Dare per scontati i propri affetti e i propri legami. Dimenticare gli errori commessi in passato e le lezioni apprese. Quante volte capita nella vita di arrivare a un punto critico in cui, improvvisamente dopo lunghi periodi di “ottenebramento”, si riesce a sollevare lo sguardo su una visione d’insieme della propria vita e rimettere in prospettiva passato presente e futuro. Una pausa fuori dal tempo in cui guardiamo finalmente la nostra vita dall’esterno, quasi come un pirandelliano “Fu Mattia Pascal”, e affrontiamo le nostre emozioni, anche le più scomode, ritrovando l’accesso a una dimensione più profonda della nostra coscienza troppo spesso obliata in favore di un procedere meccanico e automatico che ci ha allontanato da noi stessi.
Ci si chiede “A cosa stavo pensando per tutto questo tempo? Qual’era il mio scopo originario? Sto seguendo la direzione giusta?”
A provocare questo rovesciamento di prospettiva, spesso è un evento subliminale apparentemente insignificante: una frase detta di sfuggita, una canzone, una fotografia, un piccolo incidente, un volto per strada che ci pare familiare. Una mera percezione – un biscotto in una tazza di tè, il raggio di un faro, il fischio lontano di un treno – che scatena un vortice di sensazioni e ricordi e ci porta lontani nel tempo e nello spazio, fuori dal tempo e fuori dallo spazio.
È in questa dimensione privilegiata che ci trasformiamo in un occhio rivolto sul nostro mondo interiore, uno scandaglio nelle profondità del nostro animo. Al di là delle relazioni e dei condizionamenti, al di là delle emozioni che ci distraggono e ci bloccano, una lucida consapevolezza illumina per un istante il nostro destino. Si fuoriesce dalla vita, per restare sospesi a vedersi vivere, come riflessi in uno specchio. È qui che comincia l’analisi del proprio mondo interiore. È questa dimensione che la letteratura, la filosofia e la psicologia occidentali hanno privilegiato come oggetto di indagine nel Novecento, una dimensione in cui il tempo perde quei connotati di oggettività, misurabilità e ritmicità in base ai quali ci muoviamo quotidianamente, e diventa – come diceva Henri Bergson – pura “durata”, uno scorrere fluido in cui convergono passato e futuro, un mero “flusso di coscienza” in cui prima e dopo, causa e effetto non hanno più senso se considerati nella loro abituale, logica linearità. L’occhio del pensiero riesce finalmente a considerare l’insieme delle relazioni, dei significati e dei desideri che compongono il tessuto delle nostre esperienze, aprendosi su nuovi orizzonti, nuove possibilità di esistenza che prima non riuscivamo a cogliere. È il primo passo di un viaggio interiore, una spirale che porta passo per passo a una rinnovata, più approfondita conoscenza di noi stessi – non come eravamo abituati a percepirci e raffigurarci fino a quel momento, ma di come siamo qui e adesso, cambiati, cresciuti e arricchiti spiritualmente oppure regrediti e svuotati di senso.
All’inizio del secolo, opere di autori imprescindibili come Marcel Proust, James Joyce, Virginia Woolf, Italo Svevo hanno saputo magistralmente fissare sulla pagina il nascere e il divenire di questo percorso introspettivo, coglierne la potenzialità rigenerante così come i rischi e le degenerazioni autodistruttive. Finalizzata alla ridefinizione dei propri obiettivi e del proprio atteggiamento globale nell’affrontare la vita, con le sorprese e le difficoltà che di continuo ci presenta, l’autoanalisi risulta un momento essenziale di crescita e maturazione, un mezzo per ricondurci all’azione con rinnovata lucidità ed energia.
Quando invece tende a protrarsi ad oltranza trasformandosi in una mera decostruzione logica delle nostre motivazioni, da mezzo si tramuta in un fine, e rischiamo di perderci in una condizione mentale ed emotiva di isolamento solipsistico, una prigione sterile in cui anziché recuperare una visione d’insieme del nostro mondo e ritrovare uno stimolo creativo, deformiamo l’immagine che abbiamo di noi stessi e ci costruiamo ostacoli che ci bloccano e limitano. È qui che interviene il ruolo degli “altri”.
Se siamo stati in grado di creare, nel tempo, relazioni autentiche, di metterci in discussione e confrontarci, spogliarci delle nostre difese e aprire la nostra anima a chi abbiamo incontrato e ci è stato vicino, ecco che “l’altro da me” risulterà fondamentale nel mostrarci chi siamo nel momento in cui non saremo più in grado di “rispecchiarci” da soli, e la nostra posizione nella mappa del nostro destino ci risulterà nuovamente offuscata. Potranno essere persone – come amici o amori – oppure semplici esperienze – come un viaggio, un nuovo contesto di lavoro o l’approfondimento di un nostro interesse a lungo trascurato – a portarci stavolta in questa dimensione del “fuori di me”, questo rovesciamento di prospettiva essenziale per ricondurci a quella capacità di “visione d’insieme” necessaria per tornare a riconoscere il nucleo più autentico di noi stessi e riorientare di conseguenza il nostro cammino.
Livio
OLGA KARASSO – LIBRI ED AUTOANALISI
STEFANO FUSI – L’AUTOANALISI COME ASCOLTO
http://youtu.be/G44YqT2wL8A..
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