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9. IL COLORE E IL MITO

09/10/15

Dalla redazione di Anima, che dopo il libro sui colori sta ora pubblicando un mio studio sui miti (Interpretare il mito, come percorso di autoconoscenza), mi giunge un legittimo quesito che, a dire il vero, finora non mi ero mai posto. La domanda è la seguente: dato l’interesse per questi due campi, esiste tra essi un collegamento?

Il tema mi pare interessante e lo accolgo come una sfida a guardare in profondità dentro di me per capire quale possa essere il denominatore comune tra l’universo cromatico e quello mitologico, tale da appassionarmi in studi e ricerche assidue. Confesso che dopo aver scritto il titolo di questo articolo mi sono  rivisto per un attimo bambino, seduto al mio banchetto di scuola, a mordicchiare la penna davanti al foglio bianco…

9-2In primo luogo direi che l’esperienza emotiva e simbolica dei colori e quella intuitiva del mito nascono dal contatto con la natura, dal senso di mistero e di sacro che da essa irradia, come una luce che inonda il cuore e la mente dell’uomo, generando sensazioni, pensieri e fantasie. Colori e miti assumono ed esprimono valori primitivi, ancestrali, che costituiscono un patrimonio comune, ancora dentro di noi. Essi ci aiutano a esplorare, “capire” per quanto possibile, il mondo che ci circonda e quello interiore (di fatto un’unica realtà).

I cosiddetti colori “primari”, o “base” (per usare la terminologia di Lüscher), sono radicati nel nostro inconscio da tempo immemorabile, da quando i nostri progenitori si misuravano con i fenomeni naturali: la notte, con il nero delle tenebre e il blu scuro del cielo, che costringeva all’immobilità, e il giorno, con il giallo solare, che spingeva all’azione (colori che ancora oggi hanno, rispettivamente, su di noi l’effetto di rallentare il metabolismo e la secrezione ormonale, favorendo il riposo e quello, al contrario, di aumentarli, generando energia). E l’attività stessa (lottare, cacciare ed essere cacciati) si tingeva di rosso, il colore del sangue, per esprimere l’attacco (e la vita, come testimoniano i pigmenti ocra usati nelle sepolture primitive) e di verde, il colore della vegetazione, per esprimere difesa e autoconservazione. Culture diverse nel tempo e nello spazio e anche singoli individui possono dare a questi colori valenze simboliche differenti, ma il loro effetto fisiologico resta immutato e uguale per tutti: il rosso e il giallo eccitano ancora il sistema nervoso, con conseguente aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, mentre l’azione terapeutica e calmante del blu è ben nota.

9-1Da queste stesse esperienze basilari, cariche di emozioni e in particolare di stupore, nascono i miti, o almeno quelli più antichi, di carattere naturalistico, che offrono una spiegazione ai fenomeni naturali, al succedersi delle stagioni, al misterioso ritmo che regola l’universo e all’origine dell’uomo e della realtà che lo circonda. Il mito sorge così non come semplice favola, ma come protoscienza, cioè come primo tentativo di spiegare le cose e rispondere al bisogno di significato che è in ogni uomo. Esso fonda ogni aspetto del quotidiano collegandolo a un inizio che appartiene a un tempo senza tempo (quello, appunto, mitico), in cui i protagonisti sono eroi e dei. È in primo luogo storia sacra,  che dà stabilità al presente ancorandolo a quel lontano passato: «E da allora le cose stanno così» è la sua più frequente, e insieme rassicurante, conclusione.

La stessa radice della parola greca mythos rivela l’origine sacra e iniziatica (myéin = «iniziare ai misteri») e indica un tacere (mýein = «stare con la bocca chiusa», da cui il latino mutus) più che un narrare, tipico invece della fabula (dal latino fari = «parlare»). Il mito si esprime per allusioni, proprio come i colori, che sono un “messaggio di luce”. Entrambi usano il linguaggio del silenzio, che invita alla contemplazione più che alla decifrazione.

Inoltre nei miti troviamo espressi gli stati d’animo (gioia, paura, stupore), i bisogni primari (amori, viaggi, avventure), i pensieri e le intuizioni dell’essere umano, caratteristiche e valenze proprie di ciascun colore. Jung, che sosteneva la necessità della conoscenza dei miti nella formazione di un buon psicanalista, attribuisce il blu al pensiero, il verde alla sensazione, il rosso al sentimento e il giallo all’intuizione. L’importanza dei miti per Jung, come per lo stesso Freud, consisteva nella loro somiglianza con i sogni, di cui condividono il linguaggio simbolico. E anche i colori hanno valenze simboliche. Il colore infatti non è solo un fenomeno fisico, ma agisce soprattutto a livello emozionale, mentale e spirituale, e affonda le sue radici nell’inconscio.
Nel simbolo dunque possiamo riconoscere un altro aspetto comune (di primaria importanza) al mito e al colore. Il simbolo nella sua essenza è qualcosa di molto diverso dall’allegoria, cioè da concetti noti trasfigurati sotto il velo di immagini: esso, al contrario, nasce da un’intuizione, da qualcosa che deve essere svelato e che non si lascia mai del tutto tradurre in termini razionali. Gli “archetipi” di Jung racchiudono più significati e hanno una forte carica emozionale. Analogamente i colori, definiti da Lüscher «il linguaggio emozionale dell’inconscio», hanno complessi valori simbolici, corrispondenti alle dimensioni di coscienza rappresentate dai chakra, ed evocano determinate sinestesie. Così, per esempio, al rosso, simbolo di vita, incarnazione, radicamento, energia primaria, passione, desiderio, ma anche di sangue, violenza e pericolo, corrispondono un suono vigoroso, un sapore piccante, un odore pungente, ed è “caldo” (come l’arancione e il giallo, che si associano al fuoco e al sole), mentre il blu, il viola e il verde sono “freddi”, perché ci ricordano il cielo e il mare.

9-3E proprio nell’inconscio è possibile cogliere un altro elemento in comune: l’associazione tra colori e stati d’animo avviene dentro di noi istintivamente, a nostra insaputa. Se l’inconscio “pensa” per immagini, e il suo linguaggio simbolico si esprime nei sogni e filtra nei miti, esso “sente” attraverso i colori, tanto che il «il linguaggio emozionale» affiora spontaneamente anche a livello conscio attraverso i modi di dire: «vedo rosso», «sono nero», «una giornata grigia», «gli anni verdi»… I sentimenti hanno un colore: l’invidia è gialla, la paura blu, la rabbia (ma anche la speranza) verde, la felicità rosa.

Ma, a mio avviso, il denominatore comune più significativo è che sia i miti sia i colori vanno interpretati e la loro complessità non accetta semplificazioni e tanto meno una spiegazione univoca. Qualcosa resta sempre da dire, qualcosa sembra sempre sfuggire e aprire varchi intuitivi verso nuove interpretazioni. E qui sta non solo la ricchezza del linguaggio cromatico e della narrazione mitologica, ma soprattutto la preziosa opportunità di autoconoscenza inclusa nella soggettività interpretativa. Infatti nell’interpretare un mito come nel riconoscersi in un colore si avvia un processo di autoconoscenza e vengono alla luce aspetti del nostro mondo interiore: l’analisi diventa autoanalisi, e la lente si rivela uno specchio.

Cesare Peri

 

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