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69. IL COLORE DELLE COSE

10/06/21

Due amici discutevano osservando una parete appena imbiancata: uno sosteneva che era di un giallo un po’ carico, l’altro decisamente arancione. La disputa si inasprì quando il primo giunse ad affermare che, al di là della sensazione visiva del colore e dei vari elementi neurofisiologici, che possono in parte giustificare la percezione soggettiva di una tinta, di fatto quella parete restava comunque “oggettivamente” gialla. Per lui il colore era una qualità intrinseca.

La fisica, che studia la luce e la luminosità, smentisce questa asserzione. Una bella macchina sportiva rossa, un prato verde o un ombrellone giallo non “posseggono” quel colore, ma non fanno altro che rifletterlo, apparendo perciò tali ai nostri occhi.

Il fenomeno a prima vista può sembrare paradossale, perché in realtà non distinguiamo i colori dove sono presenti (o come tali si rivelano al nostro cervello), cioè nella luce solare, mentre li riconosciamo sulle cose, che sono incolori, ma assorbono alcune lunghezze d’onda della luce, riflettendone altre, che le “colorano”. La luce rallenta, quando penetra in un mezzo più denso dell’aria, e questa decelerazione, maggiore per la componente viola che per la gialla o la rossa, attraverso un prisma di vetro disperde a ventaglio le varie lunghezze d’onda dello spettro.

Così una bolla di sapone ci appare cangiante per la non uniformità del suo spessore. Una variazione di solo 1/5000.000 di mm. tra le superfici riflettenti interna ed esterna determina la comparsa del rosso al posto del blu.

Poiché gli oggetti assorbono alcune lunghezze d’onda, mentre ne riflettono altre, sole o in combinazione, che noi percepiamo sotto forma di colore, il rosso dell’automobile, il verde del prato e il giallo dell’ombrellone si creano togliendo allo spettro alcune lunghezze d’onda. Il nero ci appare tale proprio perché le assorbe tutte, mentre il bianco rimanda interamente la luce solare. Che sia un fenomeno fisico e che queste onde siano energia lo si può facilmente constatare toccando due macchine in un parcheggio assolato: quella nera si rivelerà decisamente più calda di quella bianca.

Questo processo di assorbimento selettivo delle lunghezze d’onda viene definito “sintesi o mescolanza sottrattiva” ed è prodotto dai pigmenti, cioè dalle molecole che assorbono parti specifiche dello spettro. Così l’asfalto della strada ci appare grigio o nero, perché le molecole assorbono gran parte delle lunghezze d’onda, mentre una vernice sembra blu-verde (cìano) grazie a miliardi di particelle sospese in un mezzo trasparente, come l’olio di semi di lino, che assorbono il rosso.

Chi dipinge utilizza questa mescolanza e sulla sua tavolozza troviamo tre colori base, dalla cui unione si possono ottenere tutti gli altri: il magenta (cremisi molto intenso, così detto dopo la sanguinosa battaglia di Magenta, svoltasi il 4 giugno 1859 tra Franco-Piemontesi e Austriaci), il cìano (azzurro tendente al verde) e il giallo. Se mescoliamo tutti e tre i pigmenti, otteniamo una sottrazione di lunghezze d’onda in tutto lo spettro visibile, dando luogo a un colore scuro, come costatano, spesso con disappunto, i bambini che maneggiano il pongo, quando, incorporando l’uno con l’altro i vari colori, li vedono progressivamente ingrigire.

Se invece prendiamo tre faretti colorati e su uno schermo bianco proviamo a proiettare in forma di cerchio le luci dei tre colori basilari, rosso, verde e blu, otteniamo per sovrapposizione il magenta (rosso + blu), il cìano (verde + blu) e il giallo (verde + rosso), mentre la loro perfetta sovrapposizione non produce il nero, come nella sintesi sottrattiva, bensì il bianco, la pura luce solare. Questo processo di addizione dei colori trasmessi attraverso la luce viene definito “sintesi o mescolanza additiva” ed è utilizzato da proiettori e televisori, ma anche dall’occhio umano, perché i coni retinici, deputati alla visione cromatica, sono sensibili al rosso, al blu e al verde.

Dal confronto dei due tipi di mescolanze possiamo anche osservare che hanno in comune come colori primari le tonalità del rosso (magenta) e del blu (cìano), mentre differiscono relativamente al giallo, che nella sintesi sottrattiva è un primario, mentre in quella additiva è un secondario, in quanto prodotto dal rosso e dal verde, che qui invece rientra nella triade dei colori basilari.

Al contrario, nella sintesi sottrattiva è il giallo a produrre il verde, mescolandosi col cìano. E, se sempre con i pigmenti tentassimo di imitare la mescolanza additiva, unendo il rosso e il verde, non otterremmo il giallo, ma il grigio, risultato costante dell’unione di un colore primario con il suo complementare.

A questa particolare “girandola” di colori va aggiunta la percezione fisiologica, che ne altera le caratteristiche. Così due colori contigui appaiono più chiari o più scuri secondo la loro forza cromatica: ad esempio, il violetto accanto all’azzurro appare chiaro, tendente al rosso, mentre su uno sfondo arancione appare più scuro, con tendenza verso l’azzurro. Analogamente il verde su sfondo azzurro risulta più chiaro, mentre sovrapposto a un fondo arancione risulta più scuro e azzurrognolo. Tale fenomeno è noto come “contrasto simultaneo”.

Per “contrasto consecutivo” s’intende invece il richiamo cromatico tra i colori complementari che possiamo facilmente sperimentare dopo aver fissato intensamente un colore, spostando lo sguardo su una parete bianca: allora il giallo si trasforma in violetto, il blu in arancione, il verde in rosso e viceversa. Il fenomeno si spiega come conseguenza della sovrastimolazione dei coni deputati alla visione del colore, che, persa momentaneamente la sensibilità, riequilibrano la visione producendo il colore complementare.

Ma la soggettività percettiva non si limita a questo: l’esperienza del colore di un determinato oggetto, incamerata, per così dire, nel cervello, può darci la sensazione di un colore ben noto, anche se, per esempio nella penombra, la tinta effettivamente rimandata dalla luce è più scura. Ricordiamo da ultimo l’effetto centrifugo dei colori caldi (rosso, arancione, giallo), che sembrano venirci incontro, mentre quello centripeto dei colori freddi (verde, blu, viola) tende ad allontanare lo sfondo.

Ritornando alla disputa iniziale dei due amici sull’oggettività del colore, nella dimensione relativa/soggettiva, in cui ci troviamo a vivere, verrebbe da interrogarsi non solo sulla natura del colore, ma sulla realtà della parete stessa. Goethe, chiedendosi se un vestito rosso fosse ancora rosso quando nessuno lo guardava, concludeva che «un colore che nessuno guarda non esiste». Ma quella parete, della cui tinta discutevano i due amici, si può credere che esista in quanto tale, anche se non è percepita da nessun osservatore, oppure in sé è qualcosa di diverso? In altri termini il mondo che ci circonda è come ci appare o sono i nostri sensi a dargli non solo colore, ma anche spessore e forma? Antico dilemma del “noumeno” e del “fenomeno”. Un Maestro rispose così: «Tutto è energia fluttuante, pura sostanza indifferenziata: il processo di percezione crea la realtà».

Cesare Peri

       

 

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