Questa revisione del tuo dizionario personale non implica, naturalmente, che tu ti rifiuti d’ora in avanti di adoperare le parole che hai destituito di valore. Non implica cioè che tu ti disinteressi totalmente di politica o che sgrani gli occhi, come dinanzi a un’assurdità, davanti a qualcuno che ti dica di essersi sposato. Reazioni simili farebbero pensare più all’autismo che non alla costruzione di un’arca. No: ciò che comincia a cambiare in te, con questa revisione, è solo il tuo punto di vista sul mondo e su te stesso.
Invece di obbedire meccanicamente – come un computer alle sue programmazioni – tu cominci a riflettere. Invece di adeguarti a ciò che già c’è, cominci a cercare qualcos’altro: in te, dapprima, e poi nel mondo intorno. E quanto più cerchi, tanto più le tue destituzioni di parole-cause diventano coraggiose.
Dopo politica e matrimonio, potresti passare a parole di impatto emotivo più forte, come madre e padre, oppure figli, e accorgerti di quanto potere hai dato a ciò che esse rappresentano non per te, ma per i soliti «molti». Per i «molti» queste tre parole sono ruoli istituzionali che impongono determinati doveri. In conseguenza di ciò, i «molti» ti hanno insegnato a credere che dai genitori e dai figli tu debba aspettarti tutta una serie di atteggiamenti speciali: e se questi atteggiamenti mancano, tu ti ritieni automaticamente in diritto di soffrire – di ridurre cioè la tua energia, la tua voglia di vivere.
Ma le cose cambierebbero immediatamente, se invece di dare quel valore alle parole madre, padre, figli, tu decidessi, più semplicemente, di vedere chi esse indichino, nella tua vita: e scorgeresti degli individui, in tutto e per tutto pari a te, come tutti gli altri individui del mondo. D’un tratto, vedresti in loro qualità e bisogni che non avevi mai notato prima. Molto probabilmente li capiresti e li ameresti più e meglio di prima.
È ciò che spiegava Gesù in quei passi poco citati dei Vangeli, come «i nemici dell’uomo saranno i suoi famigliari» o «chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me» (Matteo 10,36-37) là dove «me» non significava Gesù stesso, che non aveva certo fama di distruttore di famiglie, ma soltanto quell’immensità che ognuno di noi chiama «io» e che è in chiunque. Chi ama le parole «madre» e «padre» più della scoperta di quell’immensità in se stesso e negli altri, non è degno del proprio io. Questo era il senso della frase.
Vale anche per l’Arca, dato che l’Arca altro non è che la tua scoperta di te.
Qualcuno gli disse: «Ecco, fuori ci sono tua madre e i tuoi fratelli e vogliono parlarti». Ed egli rispose: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Matteo 12,47-48)
Igor Sibaldi
(Continua)..
Credevo di essere stata “sfortunata” a non seguire gli studi,la chiesa, ecc. oggi (da adulta con l’esperienza della vita pratica) mi accorgo della fortuna che mi si presenta attraverso queste traduzioni. E’ sempre un piacere leggerti grazie Luisa
ciao, come fare con un padre che mi ha ucciso, letteralmente? stando alle metafore di crono con zeus e ade.. che usa sibaldi