Prendiamo, per esempio, quella che secondo moltissimi sarebbe la prima apparizione del Diavolo nella Bibbia: la famosissima storia della tentazione di Eva. I teologi ansiosi di dimostrare che il Diavolo sia un essere preciso devono, inevitabilmente, ricorrere a questo episodio, dato che in tutto il resto della Genesi e negli altri quattro libri del Pentateuco non si trova nulla che dia loro ragione. Qui – dicono – il Diavolo è il serpente.
Alcuni giocano, barano, sul carattere fallico dell’anatomia dei rettili, e contrabbandano qui l’idea che il «frutto proibito» fosse un’allusione erotica. Altri sottolineano che quel frutto proveniva dall’«albero della conoscenza del bene e del male», e colgono l’occasione per mettere in guardia da chi voglia conoscere troppe cose in teologia, invece di limitarsi a credere a quel che gli dicono le autorità.
Ma, a ben guardare, il testo originale dimostra soltanto che il serpente diventa il Diavolo soltanto per chi voglia crederlo tale: anche qui, cioè, il Nulla riempie, gonfia e fa apparire vere cose che di per sé sono prive di significato e di qualsiasi fondamento.
In primo luogo, infatti, il serpente tentatore non è affatto un serpente, nel testo originale.
Nelle versioni consuete si legge:
Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche (Genesi 3,1)
Ma è un errore di traduzione. In ebraico antico quel passo è:
Vi era il serpente: un luogo sgombro, attraverso la natura.
È una splendida immagine poetica: vi era un passaggio, una strada, attraverso l’intrico della natura esistente. Si apriva un varco, e attraverso quel varco Eva scoprì che il divieto di nutrirsi dell’«albero della conoscenza» poteva e doveva essere superato.
Anche il dialogo tra Eva (isha in ebraico) e quel serpente-strada, nel testo originale, è molto diverso da come lo si traduce di solito:
Il serpente disse a Isha: «È per ciò che vi ha detto Elohim? È per questo che non vi nutrite dell’albero della conoscenza?» E Isha disse al serpente: «… Elohim ci ha comandato così, perché se lo mangiassimo moriremmo». E il serpente le disse: «Non è vero. Non morireste. E Elohim sa che quando mangerete quel frutto i vostri occhi si apriranno». (Genesi 3,1-5)
Il serpente ha ragione. Colui che aveva imposto di non «nutrirsi dell’albero della conoscenza» – di non conoscere, cioè – non era stato Elohim, cioè il Dio Creatore, quello che aveva detto agli uomini «crescete e moltiplicatevi», e che in tutte le versioni della Bibbia è tradotto semplicemente «Dio». Era stato invece Yahweh, cioè il Dio-Custode del creato, quello che in tutte le versioni della Bibbia è tradotto «il Signore Dio».
Nei primi capitoli della Genesi (in ebraico), questi due volti della Divinità appaiono ben distinti: uno è perenne crescita e infinita bontà, l’altro è ansioso, geloso, sempre intento a frenare l’evoluzione dell’uomo. Il serpente precisa che il divieto non proviene da Elohim, e in seguito, naturalmente, Yahweh se ne ha a male.
È comprensibile che, dinanzi a un racconto simile, chi stia dalla parte di Yahweh possa sentirsi preoccupato, e cerchi qualcosa a cui aggrapparsi per negare l’evidenza testuale: non trova nulla, e allora, altrettanto comprensibilmente, chiede aiuto al nulla. Il Nulla, sempre disponibile, riempie e consolida punti di vista inconsistenti, traduzioni sbagliate, equivoci, idee sessuofobe e altro del genere, e può facilmente farle apparire tanto enormi da rendere invisibile il resto. Allora, per questi inquieti, il serpente può diventare il Diavolo, gonfio soltanto di Nulla e di ereditari, nulli timori.
(Continua)
Igor Sibaldi
Video: Avarizia e ira
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Anche nella versione corrente della Genesi, a me sembra possibile una diversa ipotesi. Se, anziché di condanna, le parole di Dio fossero di preoccupazione per i figli che scelgono di affrontare in prima persona il “mondo là fuori” con tutta la sua dualità e contraddizione? Preoccupazione, ma anche compiacimento…
Il serpente aveva ragione: conoscere significa, sì, diventare mortali, ma anche diventare(o ridiventare?) Dio… Comunque a mio avviso è un simbolo arcaico delle “civiltà della Dea” e accompagna molti degli eroi dalla fase di transizione verso le “civiltà degli dei”…
L’immagine del serpente che solca la terra e in essa si muove come un’onda aprendo un sinuoso varco, fa capire come Eva sia stata tentata a percorrerlo.
Aprire quel passaggio è aprire gli occhi e vedere sulla realtà interiore. Percepire il mondo di Elohim da cui si è generati è comprendere ciò che dirama e perpetua la vita, come il frutto cresciuto nell’albero delle generazioni. Si capisce che è un desiderio carnale, e si capisce il perché ad aprire questa via è stata Eva, la donna e il suo ventre. Solo a lei Elohim è intimo, come un figlio lo è dentro la madre, come un frutto dentro la bocca.
La tentazione o il peccato, in realtà sembra essere il vivo desiderio di congiungersi con il principio e il prezzo pagato è l’ira di Dio.
Il serpente è simbolo di conoscenza, questo è risaputo. Chi ci ferma è il nostro limite.
In fondo, la condizione di ignoranza è beata. Non a caso, si dice “beata ignoranza”. Quando il cammino di conoscenza inizia, vediamo forse cose che non vorremmo vedere. E la cosa potrebbe spaventarci.
Ma, poi, man mano che procediamo su questo cammino, scopriamo che erano i limiti a farci soffrire, non il loro superamento. Scopriamo che i limiti fanno soffrire, mentre superarlo dona gioia ed entusiasmo.
E, man mano che procediamo, capiremo che la scelta giusta non è temere la conoscenza e l’allargamento delle nostre percezioni, ma andare verso di esse con gioia. Gli spazi aperti spaventano chi è stato sempre in spazi chiusi, ma poi, passato il primo sgomento, si scopre che in questi spazi aperti ci sono cose meravigliose. E si va verso queste cose con grande gioia.