Questa cooperazione o alleanza tra l’uomo e Dio era già stata sperimentata da Mosé: il racconto dell’Esodo può essere letto, infatti, anche come una burrascosa storia d’amicizia e d’amore tra il maturo principe egizio Mses e Yahweh, il Dio abbandonato dal suo popolo, e indebolitosi, regredito quasi al livello di un demone del deserto. Mses-Mosé lo trova, lo rieduca, gli ridà forza e fiducia in se stesso, e lo guida e ne è guidato al tempo stesso, mentre tra tante difficoltà conduce il suo popolo via dall’esilio.
Il racconto è, naturalmente, simbolico: per te che leggi, quel popolo eletto rappresenta tutto ciò che è tuo; Mses-Mosè sei tu che ti accorgi di quanto ciò che è tuo sia pieno di ipoteche e reti e insidie altrui, e dai inizio al tuo Esodo, o revisione del dizionario, o costruzione dell’Arca; e Yahweh è quel Dio che allora ricominci a scoprire, e di cui ricominci a sperimentare la potenza e l’aiuto, nella stessa misura in cui chiedi il suo aiuto e lo aiuti a tua volta.
Nella storia di Noè avveniva la stessa cosa, e così pure nelle vicende di tutti i patriarchi, e di tutti i profeti: Dio e quegli uomini agivano insieme, e non contro altri uomini o contro altri Dei – come in seguito venne interpretata, strumentalmente, l’alleanza con Dio (si pensi al Gott mit uns di innumerevoli guerre) – ma soltanto contro il Nulla e le forme gigantesche che il Nulla assume. E ognuna di quelle storie è anch’essa simbolica: è, o meglio può diventare, la tua storia personale, se tu cominci a viverla in tal modo e non temi il carattere sacro che, giorno dopo giorno, verrebbe ad assumere tutta quanta la tua vita.
Gesù, poi, porta questa alleanza all’estremo:
«Il Padre non giudica nessuno, ma ha affidato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre» (Giovanni 5,22-23)
Il giudizio, la decisione non avviene più nei cieli, ma in terra. Dio sta a guardare e senza di te non può giudicare, non può agire: la sua volontà non può compiersi se tu non lo chiedi e non lo permetti al tempo stesso. È il punto più basso della storia del Dio occidentale, e il punto più alto – e di massima responsabilità – per l’uomo.
Igor Sibaldi
(Continua)
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Padre Maria Turoldo scrive: “E’ questo infinito oceano di parole un’oceano di vocalizzi e gorgoglii ; Dio ucciso dalle nostre mestissime omelie”. Ci ho dormito sopra a queste parole. E il mattino successivo mi sono messa in cammino a piedi nudi e mani aperte in cerca di aiuto. Uno, dieci e poi in cento hanno coperto i miei piedi e riempito le mani di doni sublimi fino a far diventare quelle mestissime omelie in pane soprasostanziale fresco e profumato, da mangiare insieme, ognuno con il proprio appetito.
Il pane, un mezzo semplice per tradurre la lingua dell’infinito.
Il viaggio, un canale di collegamento per osare nuovi passi con tanti piedi là, fuori e dalla stessa parte. Igor cammina ancora con noi.