Ciò che qualifica l’uomo non è solo lo sviluppo cerebrale, ma anche la capacità di giocare. Il gioco è qualcosa che pervade ogni campo della nostra e dell’altrui cultura, sin dai tempi più remoti. L’homo ludens ludens sembra, in effetti, una specie più evoluta rispetto all’homo faber o all’homo sapiens. Il gioco è senz’altro un fattore di crescita umana ma è altrettanto una dimensione culturale. Gioco è sinonimo di piacere, di gioia e di divertimento nell’usare la creatività. E’ possibile giocare con qualsiasi cosa, giocare imparando, giocare con le parole, con il pensiero, con i fatti della scienza, con l’arte. In alcuni giochi si possono interpretare le parti le più gloriose o quelle più diaboliche della mitologia umana. E’ un sognare lucido che coinvolge più persone, il cui scopo principale è il divertimento, l’evasione in un mondo fantasioso in cui i limiti del reale possono essere sconfinati, le regole sovvertite. Proprio per il suo essere irrazionale, l’attività ludica ha la capacità di svelare lo spirito e la libertà di ognuno di noi. Mi ricordo i giochi preferiti della mia infanzia. I computer erano allora confinati nelle stanze segrete degli eserciti delle grande Potenze e non erano ancora entrati negli ambienti domestici.
Ricordo con piacere uno dei miei giochi preferiti: costruire un Tepee nel giardino e giocare con i miei amichetti agli Indiani. Ognuno elaborava il proprio nome Indiano, c’erano esplorazioni nella Natura, rituali, consigli di guerra e di pace, gare di tiro all’arco, costruzione di scudi magici… Fogliami, rami, sassi, insetti mummificati dal caldo, semi, i nostri corpi agili, le nostre voci concitate… tutta la Natura si prestava al gioco. La sera mi addormentavo, appagata, pronta ad inventare nuove avventure il giorno dopo…
Allora giocare significava stare insieme, divertirsi insieme, creare insieme. La fantasia, la comunanza, la creatività sono il motore di ogni gioco. Oggi, la dimensione culturale del giocare è stata trasformata da internet. Guardo i bambini della nuova generazione che giocano per ore e da soli con i loro gameboy o play-station, astratti e non curanti del mondo attorno! Noto che questi bambini sono molto svegli da una parte, ma dall’altra hanno poca dimestichezza nell’essere nel mondo e con gli altri. Ogni tanto vivono sindromi inquietanti, crisi epilettoidi… Talvolta sono anche gli adulti ad essere incollati allo schermo del loro PC, giocando da soli o con altri giocatori virtuali. Allora sento che qualcosa di caldo e di vitale è andato perso. Questo non è un anatema ai nuovi giochi on-line di cui trovo alcuni formativi ed affascinanti, specie quelli “collaborativi “ che si estendono a centinaia di giocatori nel mondo. Sono una grande apprezzatrice di internet, benedico questa meravigliosa tecnologia che mi permette di divertirvi mentre mi diverto nello scrivere questi blogs. Ma sono meno incline ad utilizzare internet per giocare in quanto il gioco per me ha un senso profondo e vitale, è una forma elevata di comunicazione e di contatto sociale. Per questo motivo non ho mai apprezzato l’idea dell’orgasmo virtuale attraverso il casco e il guanto elettronico. Concedetemelo, è davvero meglio dal vivo! Altrimenti diventerebbe uno di quei giochi da solitario per trascorrere il tempo, chiamati in francese “patience”, ma non fanno ridere.
Se perdiamo totalmente il contatto con gli altri, con il proprio corpo ed emozioni per giocare rischiamo di diventare delle macchine più o meno pensanti che giocano con altre macchine più o meno pensanti, attraverso una macchina. Per fortuna, ridere è ancora proprio dell’uomo, ma per quanto tempo ancora rimarremo umani?
Continua..