Volenti o nolenti, atei o teisti, noi umani, presi uno per uno, non siamo dotati solo di determinate caratteristiche fisiognomiche e caratteriali, ma portiamo con noi una ragione di essere, una motivazione, una collocazione, una provenienza e una destinazione, un passato e un futuro travalicanti. Siamo cioè impegnati in una corsa a tappe con tanti bei traguardi da superare. Questo è poco ma sicuro. Non chiedetemi la formula dimostrativa e non chiedetemi il perché.
Qualcuno cerca di esorcizzare i momenti negativi e i dispiaceri della vita annegandoli nell’alcol o nella droga, ma non ne salta fuori.
Siamo legati indissolubilmente al nostro intersecolare percorso evolutivo, fatto di vite utili e di vite malandate, di spezzoni fecondi o sprecati, di azioni positive o negative, di alti e di bassi, di promozioni e retrocessioni.
Chiamatelo destino, fato o karma, restiamo legati ad esso, ed abbiamo pure la responsabilità di evolvere e di procedere. Chi si ferma è perduto. Abbiamo il compito di migliorare, di mettere vicino altri mattoni per completare la nostra crescita karmica.
Pare che, raggiunta la perfezione, conseguita la laurea spirituale con centodieci e lode, non avremo più bisogno di ulteriori prove e di ulteriori reincarnazioni…
Se le cose stanno così, c’è ben poco da ridere, e c’è davvero di che rimboccarsi le maniche.
Diamoci tutti da fare per vivere bene, per morire bene, per rinascere bene. Il nostro è insomma un mosaico imperfetto, dove manca ancora qualcosa. Cerchiamo di fare il salto di qualità. Cerchiamo di guadagnare questi minuti di abbuono, questi bonus per la quadratura del nostro cerchio esistenziale. Cerchiamo di diventare esseri non solo prestanti muscolarmente, ma soprattutto esseri spirituali e liberi dal condizionamento materiale, privi di gambe che fanno male, di schiene che tormentano, di polmoni che non respirano…
Queste considerazioni sul karma sono determinanti…
Significa forse che la salute fisica va in secondo piano? Assolutamente no. La salute sottopelle e soprapelle rimane fondamentale. Ce lo ricorda Erofilo, fondatore della Scuola Medica di Alessandria nel 300 AC. “Quando manca la salute, la saggezza non vale, l’arte non si può esercitare, la forza della mente e dello spirito latita, e la ricchezza non ha alcun valore”.
Ma, a parte il “mens sana in corpore sano” cos’è poi questa salute? Ce lo ricorda Orazio (65 AC – 9 AC). “Se stai bene di stomaco e di petto, e se non sei tormentato da gotta e mal di schiena, tutte le ricchezze del re non potrebbero aggiungere niente alla tua felicità”. Pare un concetto riduttivo e semplicistico, ma non lo è affatto. Orazio ha fatto centro, come spiego in alcune mie tesine dedicate al rapporto tra colon e salute.
Erano, quelli di Orazio, tempi in cui la salute era tenuta sul palmo della mano. Roma imperiale era vissuta per secoli senza un farmakon e senza una farmacia, senza l’ombra di un singolo medico.
Era una Roma carica di preziose e fresche eredità derivate dagli Egizi e dai Greci, dalla scienza vegana, umanitaristica ed animalistica di Pitagora, dai principi salutistici di Ippocrate (“Primo, non spaventare e non nuocere”, “Secondo, l’aria pura e il cibo naturale siano il tuo basilare alimento e medicamento”, “Terzo, nessun veleno serva a curare un malato”).
Era una Roma pagana ma straordinariamente intrisa di saggezza, memore com’era di Zenone e di Epicuro, diSocrate, Aristotele e soprattutto Platone (428-348 AC). “Non si può curare la testa senza il corpo, né tanto meno il corpo senza l’anima”. “L’anima è un capitale spirituale che passa attraverso una pluralità di corpi, arricchendosi ed evolvendo”.
Questa era gente di livello decisamente superiore, non distratta dal consumismo e dagli spot pubblicitari, ma votata e concentrata a conoscere se stessa.
Si era all’ombra del Partenone e dell’Olimpo. Non era la Grecia pomposa dell’armatore Aristotele Onassis, e ancor meno quella odierna di Papademos, derelitta e declassata per i suoi impagabili 300 miliardi di debito pubblico, al pari poi dell’Italia di Monti, che non ha affatto le sembianze di quella del Colosseo, di quella di Giulio Cesare Augusto o di Marco Aurelio…
Ma non lasciamoci abbattere dalle disgrazie contemporanee. Restiamo con la Grecia di allora, che era quella diDiogene di Sinope 400 AC, il filosofo più acclamato che, di notte, dormiva sotto una botte rovesciata e, di giorno, girava la città con una lampada accesa alla ricerca di un vero uomo. Quello che al sovrano Alessandro Magno, venuto a trovarlo per curiosità e postagli la domanda “Posso fare qualcosa per te?”, rispose con un “Sì mio Imperatore, puoi fare davvero molto. Spostati, che mi stai togliendo la luce del sole!”
I problemi di allora non erano necessariamente diversi da quelli odierni. Tito Lucrezio Caro (99 AC- 55 AC), nel suo Rerum Natura, rimpiange i tempi trascorsi e si rammarica come il cibo cotto sia stata la causa dell’indebolimento progressivo della razza umana e dell’accorciamento della vita, e ricorda come gli atleti ateniesi e i guerrieri spartani si nutrissero esclusivamente di fichi, di nocciole, di pinoli, di cicorie, di lupini e di grani abbrustoliti. Stava svanendo evidentemente l’era pura del carciofo, del finocchio, del cavolo, del dattero, delle bietole, del pane e delle banane.
Mille anni dopo, la salute viene ancor meglio definita daDante (1265-1321). Stare bene per lui significa non dover mangiare il pane al tavolo dei potenti, troppo salato, troppo indigesto e troppo illiberale. Stare bene significa pure non essere fatti per vivere come bruti, ma per seguire “virtute ed canoscenza”.
Ancor meglio fa Giordano Bruno (1548-1600), l’empio bestemmiatore bruciato vivo su ordine di Ippolito Aldobrandini, un papa chiamato paradossalmente Clemente VIII. “La divinità discende sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa”, “Credere che siamo mossi e toccati solo dalle cose visibili e materiali è stupidità manifesta”, “Non posso pentirmi poiché non ho nulla di cui pentirmi”, frasi come queste, dette in tempo di Inquisizione, erano cibo spirituale di portata eroica. Non gli portarono benessere terreno ma una morte orribile a Campo de’ Fiori in Roma.
E Leonardo (1452-1519)? Non si accontenta di realizzare opere sbalorditive per ingegno e preveggenza, disegnando aerei, elicotteri, sommergibili, automobili e motociclette, quando non esistevano nemmeno i materiali per tali realizzazioni. Non si limita a lasciarci il sorriso ammaliante ed impenetrabile della Gioconda, ma ci trasmette un monito imperativo: “Verrà giorno in cui l’uccisione di un singolo animale sarà giudicata orrendo delitto”.
E’ solo muovendoci su questa traccia che possiamo ritrovare il bandolo della matassa, e comprendere cosa vuol dire “salute a 360 gradi”. Essere sani a 360 gradi significa amare a 360 gradi. E Francois-Marie Arouet de Voltaire(1694-1778), pur provenendo dal paese destinato poco dopo a inventare la funesta ghigliottina, seppe dire al mondo che “L’uomo non avrà pace, salute e felicità, fin quando non sarà cancellata la vergogna dell’ultimo macello”, mettendoci sopra uno spiazzo fiorito e una lapide marmorea con scritto “In questo posto di sevizie, di torture e di indicibili sofferenze, sono stati sgozzati da mani umane, in modalità allucinanti, milioni di creature sane, giovani e desiderose solo di essere rispettate e lasciate libere di vivere in pace”.
“Ma come”, mi direte, “siamo qui per trattare di reni che non filtrano, di sangue che non circola e di adrenali che non stimolano, e siamo ridotti a sorbirci una noiosa tiritera filosofica?”
Ma, scusatemi, stiamo sì o no parlando di salute?
Cos’è salute se non benessere, se non porsi in armonia con se stessi e con quanto sta intorno?
(Estratto dalle conferenze di Udine del 19/1/12 e di Verbania del 15/2/12)..
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