Come ogni anno, a fine autunno lascio il mare a causa dei forti venti di scirocco e tramontana, che con l’umidità rendono il clima quasi da montagna, per passare qualche mese a Milano. E qui, approfittando del fatto che non ho una spiaggia su cui passare intere giornate e che le passeggiate alla luce del sole nei parchi durano sempre meno, ho il tempo di leggere i messaggi che mi sono arrivati nei mesi precedenti e di guardare una discreta quantità di film recenti e meno, sia a casa sia al cinema. Mi piace dedicarmi a queste attività perché tale “materiale didattico” mi permette di tastare il polso della consapevolezza generale… ma purtroppo, come ogni anno, devo constatare un sempre più dilagante stato di rassegnazione e paura, a cui risponde un sempre più crescente tasso di odio e rabbia.
Tutto questo (situazione generale e tempo libero personale) mi porta a fare delle riflessioni che, grazie alla disponibilità della redazione di Anima.TV, diventeranno puntate del blog.
Quest’anno la mia attenzione si è concentrata su ciò che reputo il più grande problema dell’umanità: il bisogno di sentirsi amati. Questa continua ricerca inconscia di approvazione, infatti, crea in ognuno una costante dipendenza psicoemotiva verso qualunque cosa al di fuori di sé, tanto ossessiva quanto grande è il proprio vuoto interiore; è come se le persone passassero l’intera esistenza a elemosinare apprezzamenti o a fare di tutto per ottenerne da una persona in particolare, da un gruppo di persone, oppure da tutti indistintamente. E ho notato anche che per giustificare questa psicosi di massa vengono usate sempre più spesso parole come amore, condivisione e altruismo, forse per nascondere il problema.
Nelle prossime puntate del blog prenderò in esame l’origine di questo malessere generale puntando i riflettori sui tre fattori fondamentali per il percorso di ogni persona: la famiglia in cui cresce, la percezione della vita e l’amore di sé.
A tal proposito c’è stato un film tra i tanti che mi ha colpito particolarmente e che probabilmente rappresenta l’emblema dell’attuale esistenza umana. Il film si intitola “Gli ultimi saranno ultimi” e di seguito riporto alcune frasi del dialogo su cui si regge la morale del film:
“Rivoglio il mio lavoro, il mio basso stipendio. Rivoglio la mia vita, che anche se era una vita di merda, a me bastava…”
“Quella puzza me la sono portata avanti per tanti anni, ma siccome mi faceva campare, non la sentivo più…”,
“Era la vita che c’era capitata e ci piaceva così…”
Naturalmente ho visto altri film che meriterebbero approfondimenti, ma userò questo perché le frasi in questione sono ormai di uso comune, a volte meno colorite, altre volte anche di più, ma il concetto è che l’esistenza si è ridotta a un lasso di tempo in cui nascere, soffrire, procreare e morire. E il problema non è che le persone credano che sia giusto vivere così, ma che questa sorta di penosa sopravvivenza possa essere minata, come nel caso di questo film in cui la donna del dialogo perde il lavoro a causa della sua gravidanza.
La prima riflessione che mi viene da fare è: nel momento in cui ci si rende conto che la propria vita è diventata una “merda”, perché non la si cambia?
Il fatto che sia “capitata” non è un motivo valido per portarla avanti nello stesso modo… al massimo è una scusa per non prendersi la responsabilità di cambiarla. Certo, non nego che ci voglia coraggio per smettere di sopravvivere e provare a vivere meglio… ma per esperienza personale posso assicurare che varrà sempre la pena provarci, anche fosse l’ultima cosa che si farà!
Detto questo, ognuno è libero di decidere come “meglio” crede per la propria vita, ma quando si decide per la vita di un altro, allora l’errore diventa assai più grave! Infatti, se due persone che non sono felici, magari già in difficoltà economica, decidono di fare un figlio perché sperano che gli porti un po’ di gioia… beh, questa scelta oltre a essere alquanto egoistica, andrebbe anche condannata. Invece viene definita atto d’amore! Ma amore per chi? Per chi viene fatto nascere in una realtà in cui imparare presto che la vita è lotta, sofferenza e infelicità? Di questo passo il mondo non cambierà mai, se non in peggio!
In una situazione come quella, la prima cosa da fare è cercare di trasformare ciò che di misero è capitato, in qualcosa che abbia realmente senso vivere, che non vuol dire sopravvivere di stenti e sofferenze, ma vivere liberi e felici… e, solo dopo esserci riusciti, allora si potrà pensare all’ipotesi di un figlio!
Poi, se dovessimo approfondire ancora di più il concetto di atto d’amore, allora prenderei in esame il film “Lion” dove una coppia benestante australiana, in grado di concepire figli, sceglie invece di adottare bambini indiani disagiati… in questo caso sì che si può eventualmente parlare di amore, condivisione e altruismo.
Comunque, le mie sono solo considerazioni e non è mia intenzione insegnare ad altri qualcosa, perché ognuno è libero di vivere come preferisce essendo l’unico, vero responsabile della propria “infelicità”.
Per chi invece avesse capito che il coraggio può essere decisamente più utile dell’autocommiserazione, e che il destino è il risultato delle scelte fatte nel presente e non delle condizioni capitate nel passato, allora consiglio di leggere le puntate dei prossimi mesi… perché troverà di sicuro qualche spunto interessante!
Un abbraccio e buon anno nuovo!
Lorenzo Capuano
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