Ogni giorno ci misuriamo con il dolore, sia nostro sia altrui. Situazione da cui tutti noi vorremmo scappare. Infatti, solitamente, quando il dolore arriva lo affrontiamo mettendoci i guantoni e salendo su un ring immaginario dove l’obiettivo è abbattere l’avversario: il dolore.
Facciamo di tutto per eliminarlo dalla nostra vita. Per quello fisico ricorriamo agli analgesici e agli antidolorifici, se poi questi ultimi sono farmaci, lo facciamo anche a rischio della nostra salute.
Se il dolore è nella mente vogliamo distrarci, portare altrove il pensiero, via dal nostro problema.
Se il dolore è spirituale sopprimiamo totalmente il disagio negando la sua stessa esistenza, sì perché diciamo a noi stessi che non ci crediamo.
Qualunque sia il problema o il dolore che dobbiamo affrontare, la prima domanda da porsi è “Cosa devo imparare da ciò?”.
In Psicosomatica si dice che non si deve mai aver fretta di guarire. Non dobbiamo sopprimere il sintomo perché potremmo non cogliere il messaggio che il nostro Sé ci sta inviando. Il sintomo è la spia che il nostro corpo accende; se lo togliamo senza lavorare sulla causa, il corpo porterà il messaggio di disagio a un livello più profondo e nascosto, non lo si potrà vedere ma lui lavorerà in modo sempre più nocivo.
Il corpo è una lavagna su cui il nostro profondo scrive i suoi messaggi. I disequilibri dell’anima creano le malattie. Ricordiamo che la malattia nasce dal nostro profondo e, una volta che si manifesta, può guarire solo nella misura in cui noi le permettiamo di farlo.
Per guarire dobbiamo sentircene degni, questo spiega perché le stesse cure su persone diverse possono funzionare o no, in questo caso la causa principale da rimuovere è la mancanza di amore verso se stessi.
La guarigione sarà definitiva solo se avremo eliminato le cause che l’hanno provocata, ovvero i nostri malesseri e i nostri disagi. Nel caso non fossimo andati a fondo del problema, ci sono buone probabilità che si ripresenterà come recidiva.
Per capire il meccanismo che dobbiamo trasformare nel nostro comportamento o nella nostra vita, chiediamoci sempre cosa ci impedisce di fare questa malattia, o cosa ci costringe a fare. Chiediamoci a cosa è preposta la funzione dell’organo che è colpito.
Alcune volte il dolore arriva solo per farci apprezzare ciò che prima davamo per scontato. Ci sono molte azioni nella nostra vita che hanno in sé un principio miracoloso, ma quasi sempre ignorato. Non riuscire a vedere per una settimana o per un solo giorno ci fa capire quanto siamo privilegiati. Una mano immobilizzata per delle settimane fa entrare precipitosamente in noi la consapevolezza di quanto sia fantastico potersi muovere, o solo prendere in mano un cucchiaio e portarselo alla bocca. Si cresce solo nell’area di disagio, è lì che le lezioni vengono apprese.
Esistono tuttavia dei dolori che ci annientano, come per esempio quando perdiamo qualcuno che amiamo e sentiamo che la nostra vita si frantuma. Veniamo travolti da emozioni che vanno dallo stupore ai sensi di colpa. Elaborare un lutto nella scala dello stress viene al primo posto. Può essere un dolore che ci aiuta? Può essere positivo?
La perdita di chi amiamo non è mai positiva, ma possiamo scegliere come rapportarci a un evento ineluttabile come la morte. Viviamo in una società che fugge da questo pensiero e lo nega, ma dovremmo tenere presente che la morte è l’unica cosa certa nella vita di ciascuno di noi, nessuno è immortale. Questo dolore può creare energia positiva in riflesso a cosa diventeremo dopo: persone migliori, che si aprono alle emozioni e all’amore, imparano a manifestarlo, lo condividono, non trascurano le persone che amano.
I genitori, specialmente, quando se ne vanno, ci colgono quasi sempre impreparati; credevamo di essere forti e adulti, e improvvisamente invece ci rendiamo conto che abbiamo ancora bisogno del loro amore, oppure di quel perdono o che non abbiamo mai dato o che non abbiamo mai chiesto.
Se la perdita di chi amiamo, non è fisica, ma semplicemente siamo stati abbandonati, allora è un dovere verso noi stessi utilizzare questo dolore per capire le dinamiche che hanno portato alla rottura di questo legame. Quali meccanismi abbiamo messo in campo perché questa unione non fosse stabile e soddisfacente per entrambe. Mettiamoci in discussione e cerchiamo di capire, perché anche qui scegliere la persona sbagliata o instaurare una relazione su un piano non equilibrato è qualcosa che solo affrontando il dolore possiamo guarire.
Il dolore segna i confini del nostro modo di relazionarci con il mondo e con noi stessi. Quanto facciamo entrare e quanto respingiamo. Esso svela tutto di noi, se abbiamo equilibrio, se siamo generosi o egoisti, se siamo coraggiosi o vigliacchi, se siamo forti o deboli, se siamo ottimisti o pessimisti, se siamo onesti o disonesti. Quando siamo nel dolore non riusciamo mai a barare.
Cosa Fare
Ma come possiamo convivere con il dolore? In questo frangente dobbiamo essere coraggiosi e accoglienti, non porre resistenza, lasciare fluire l’esperienza, poiché essa si dissolverà non appena l’avremo accolta.
La tecnica che posso suggerire non è quindi per fare passare il dolore, ma per aiutarci ad accoglierlo e a capirne il significato, allora la meditazione è sicuramente la tecnica più efficace, perché ci mette in contatto con la parte più profonda di noi, dove ci sono tutte le risposte. Qui, in questo spazio, noi possiamo capire ciò che ci sfugge e possiamo accedere alle nostre risorse interiori, alla forza che nasce solo dalla nostra luce e dal nostro amore.
Il fiore indicato per accogliere il dolore è Rescue Remedy, una miscellanea di 5 fiori che il Dottor Bach studiò proprio per i casi di emergenza, quando ciò di cui abbiamo bisogno è l’equilibrio interiore che ci aiuta ad affrontare con serenità le prove della vita. Vi consiglio di prenderlo puro, una goccia sulla lingua tutte le volte che ne sentite la necessità.
Jose Maffina
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