Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

32. IL MALE DEL GIUDIZIO

17/07/18

Trattenersi dal giudicare è una delle cose più difficili da mettere in pratica. La nostra attitudine, infatti, è quella di farci subito un’idea di chi o di cosa ci sta di fronte. Osserviamo, analizziamo e la nostra mente inizia a stampare “etichette” quali: bello o brutto, intelligente o sciocco, interessante o noioso, affidabile o inaffidabile. Ma da dove sorgono questi meccanismi? Di fatto, il nostro cervello è un grande computer nel quale sono stati introdotti degli elementi, frutto della nostra cultura e della nostra educazione, ed è proprio sulla scorta di questi dati che elaboriamo le nostre convinzioni, convinzioni di cui poi è difficilissimo liberarsi.

Quali sono le motivazioni principali per cui possiamo discriminare le persone? Per esempio l’aspetto fisico, la razza, l’età, la religione, il linguaggio e il sesso. Siamo intrisi di credenze che condizionano ogni nostra valutazione, però trascuriamo il fatto che ciò che è buono per noi potrebbe essere cattivo per gli altri, ce lo ricorda questo detto inglese che dice: “ Il cibo di un uomo è veleno per un altro”.

Il fatto è che giudicare il mondo porta solo a separarcene, e a perdere la capacità di osservare a trecentosessanta gradi ciò che ci circonda. Qualcuno parlando di giudizio potrebbe obiettare che è il discernimento che ci guida nella vita, come possiamo procedere senza farci un’idea di ciò che ci circonda? Ma astenersi dal giudizio come processo evolutivo non è questo. Il giudizio da cui ci dobbiamo guardare è quello che implica una valenza di bene e di male, di buono e di cattivo. Se assaggiamo un cibo e lo “giudichiamo” dolce stiamo sbagliando? Certamente no. Ma se guardiamo una pietanza e pensiamo che come ci appare non ci piace e riteniamo che questo vuol dire che non è buona stiamo impedendoci di vivere un’esperienza. Quando il comportamento di un amico ci coglie di sorpresa siamo liberi di valutare l’azione in sé, ma non dovremmo dare un giudizio morale riguardo il nostro amico. Questo è ciò che dovremmo evitare, ciò che fa di noi dei giudici inappellabili, teniamo presente che nessuno di noi può conoscere le ragioni o la storia di un’altra persona per potersi permettere di giudicarla. Per esempio se chi conosciamo lascia il proprio lavoro per imbarcarsi in un’avventura dall’esito incerto, possiamo pensare che sia un’azione azzardata, ma non che lui stia sbagliando o che sia uno scriteriato. Questa azione nella sua vita è probabilmente qualcosa che doveva essere fatta e tutto ciò che ne deriverà dovrà essere appreso come esperienza, nessun giudizio morale da parte nostra.

I giudizi che più facilmente emettiamo sono proprio sulle persone che non conosciamo bene, magari colleghi, vicini, conoscenti e mentre emettiamo i nostri pareri, ovviamente condividendoli con altri, chiediamoci se le cose che stiamo dicendo le diremmo direttamente alla persona interessata. Solitamente ciò che diciamo degli altri non lo ripeteremmo mai di fronte a loro. Se il nostro punto di vista può aiutare la persona allora dovremmo dirlo a lei, perché magari il suo comportamento è frutto di una non conoscenza ed il nostro apporto potrebbe chiarirle alcune cose, se non ce la sentiamo allora tacciamo e asteniamoci da ogni giudizio. Il giudizio negativo può a volte essere molto nocivo per la reputazione di una persona, che viene come marchiata da un verdetto formulato senza che se ne abbia il diritto. I giudizi negativi possono sfociare nella maldicenza, in quel bisbigliare che non si sa da dove inizia ma quando dilaga travolge cose e persone.

Una delle forme di giudizio da cui ci dovremmo astenere è quella su noi stessi. Molti di noi hanno una proiezione della propria immagine e a questa fanno riferimento in ogni azione compiuta. Il giudizio interiore su noi stessi può essere il muro più difficile da abbattere, ci scontriamo con lui ogni giorno ed è sempre lui a vincere. Noi perdiamo quando evitiamo di cimentarci in qualcosa perché pensiamo di non essere abbastanza bravi per poterlo fare “bene”, ma cosa significa formulare dentro di noi il concetto di “bene” ? Esso è il nostro punto di riferimento, è un pietra di paragone che fa di noi dei perdenti, non reggiamo il confronto tra ciò che vorremmo fare e ciò che pensiamo di essere in grado di fare. Astenersi dal giudizio e permetterci di agire amplifica le nostre possibilità, ci rende armonici perché siamo pronti ad accogliere ogni risultato “senza giudizio” e quindi con amore. Quando siamo in grado di accettare noi stessi ci relazioniamo con il nostro prossimo in modo molto più rilassato, le nostre azioni sono più spontanee e non viviamo più per il consenso esterno perché ci basta il nostro, quello dentro di noi, che è quello che conta di più.

Come riuscirci

Il primo passo da fare quando ci misuriamo con i nodi evolutivi è sempre legato alla consapevolezza. Anche in questo caso per disinnescare tali automatismi dobbiamo innanzitutto esserne coscienti, guardando da testimoni esterni ciò che sta accadendo e osservando obiettivamente il processo che ci coinvolge. Per riuscirci vi suggerisco di dedicare un giorno alla settimana a questo compito, al mattino alzandoci diremo: “Oggi mi asterrò dal giudizio” e per ventiquattro ore tenteremo di attenerci a questo proposito, combattendo sicuramente una battaglia fatta di sconfitte e di vittorie, inizialmente con l’unico obiettivo di conquistare la consapevolezza delle nostre azioni. Se avremo costanza nel farlo, raccoglieremo frutti preziosi.

Possiamo aiutarci anche con i Fiori di Bach. Infatti per chi riesce a vedere solo il peggio nelle persone e la cui unica modalità di relazione con il mondo è la critica perenne, andando sempre a cercare il pelo nell’uovo di ogni azione e trovando colpe ed errori per tutti, un rimedio che ammorbidisce anche i più recidivi è Beech. Ci aiuta ad accogliere gli altri senza pregiudizi e con le qualità del cuore. Prendiamone una goccia di essenza pura in un bicchiere d’acqua e sorseggiamolo.

 

Jose Maffina

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