Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

55. L’ISTINTO PRIMARIO

04/05/21

Se qualcuno ci imponesse situazioni insopportabili, dovremmo ricorrere al nostro istinto di sopravvivenza, il cui scopo è mantenerci in vita, ovvero “combatti o fuggi”. Invece, nel nostro quotidiano, questo meccanismo viene spesso disatteso perché mettiamo in atto la “resa”. Più semplicemente è il “no” che non riusciamo a dire e questa resa finisce per condurci in un tunnel senza fine, procurandoci sovraccarichi di stress.

Perché non riusciamo a fare la scelta tra combattere o fuggire? Molto probabilmente non abbiamo delineato i nostri confini e non abbiamo fatto crescere le nostre radici. I confini sono quelle staccionate immaginarie che circondano il nostro prato interiore che nessuno può violare, e se qualcuno ne forzasse l’entrata dovremmo essere pronti a combattere o a fuggire.

A volte le persone camminano sul nostro prato facendo devastazioni, creando ferite interiori che ci segnano. Tuttavia molto spesso non ci rendiamo conto dell’invasione perché non c’è alcun paletto a impedirlo. Quando dentro di noi non esiste o è molto debole la percezione del nostro diritto all’esistenza, il diritto di esserci , significa che non focalizziamo l’attenzione sui nostri bisogni materiali e sul nostro compito spirituale. La “resa” ci ha portato a non ascoltare noi stessi  e abbiamo scelto un’altra guida fuori di noi: i genitori, i figli, il marito o la moglie. Le persone che amiamo dirigono la nostra vita, e i nostri spazi sono sempre più ristretti.

Possiamo vedere la sopravvivenza per un’altra delle sue caratteristiche, che è quella dell’adattamento all’evento esterno, che non è da confondere con la resa. Infatti il “combatti o fuggi” si traduce nel restare. La lotta per la propria sopravvivenza passa dall’accettazione di qualsiasi situazione difficile, perché la persona si plasma all’evento, pronta a ritornare al centro di se stessa. Solo un carattere forte permette di fare ciò, e non è la forza della quercia che rimane piantata sulle radici e che il vento impetuoso schianta, è invece la forza della canna che il vento piega sino a terra, ma che dopo è in grado di rialzarsi. È sentirsi pronti ad accettare ciò che arriva nella nostra vita e trarne il miglior beneficio, mettendo a frutto sia il dolore che le privazioni.

Essere dei survivor vuol dire superare tutto in modo positivo, arricchiti, con la consapevolezza che si è lottato per acquisire ogni centimetro di conoscenza e ogni grammo di esperienza. Charles Darwin a questo proposito disse: “Non è la specie più intelligente a sopravvivere e nemmeno quella più forte. È quella più predisposta ai cambiamenti.”

Ce la facciamo solo se sappiamo quando fuggire o quando restare. La fuga non è sottrarsi al combattimento, è una forma di analisi profonda, una comunicazione con il cuore che ci dice: “Lascia andare, vai oltre”.

L’istinto di sopravvivenza sembra la cosa più lontana dalla spiritualità. Ma tutto è interconnesso, non esiste un corpo a prescindere dallo spirito e una mente enucleata dal fisico e dall’Anima. La sopravvivenza è un filo che ci conduce lungo il nostro percorso, più lo sentiamo forte più abbiamo la consapevolezza del nostro compito. Siamo qui per fare qualcosa, percorriamo la vita o già coscienti di quale sia o pronti a cogliere il messaggio. Il benessere è stare nel posto giusto e fare la cosa giusta. Quando riusciamo a mettere in atto ciò, vuol dire che abbiamo combattuto per il nostro diritto di esistere o, per preservarlo, siamo fuggiti, ma sicuramente facendo questo abbiamo seguito la nostra voce interiore.

Come fare

Molti di noi non riescono a trovare dentro di loro quello che potremmo chiamare il diritto ad esserci che è legato al 1° chakra. Quando abbiamo subito dei traumi nella nostra primissima infanzia  o nel nostro percorso esistenziale non siamo stati incoraggiati  e rispettati, sicuramente avremo problemi a evidenziare i nostri confini e a proclamare il nostro diritto di esistere. Possiamo fare qualcosa per sentirlo e svilupparlo?

La tecnica più semplice che può essere fatta autonomamente è quella del “grounding”  (che significa radicamento). Mettiamoci a gambe divaricate con i piedi paralleli all’altezza delle spalle. Le braccia sono lungo i fianchi leggermente scostate (come se avessimo sotto le ascelle due piccole palle). La schiena è diritta, il bacino in avanti e le ginocchia leggermente piegate. Restiamo così fino a che non sentiremo tremare le gambe.  Una variante, che ci aiuta molto, è tenere le braccia a cerchio davanti  a noi con il palmo delle mani verso il petto (come volessimo abbracciare un ipotetico albero). Questo esercizio fatto tutti i giorni ci dà il senso di esistere e nella seconda variante ci mostra quale misura diamo al nostro spazio vitale, osserviamo quanto grande è  il nostro cerchio… Questo simbolicamente rappresenta  la misura del posto che ci prendiamo nel mondo.

Come al solito, anche la floriterapia ci aiuta: specifici per il riequilibrio dei Chakra ci sono le Essenze Himalayane. Quella utile per il 1° Chakra è “Down to Earth”  (che significa giù nella terra), si prende pura due gocce sulla lingua, due volte al giorno.  Scioglie i blocchi, dandoci la percezione del nostro corpo e delle sue esigenze. Aumenta il livello di energia dell’organismo e ci rende consapevoli del nostro diritto di occupare un posto nel mondo.

 

Jose Maffina

Autrice del libro I codici della felicità

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