Il conflitto può fare bene? Ci sono persone che lo rifuggono e cercano in ogni modo di smussare gli spigoli e creare intorno a loro un’atmosfera armonica. Per queste persone, me compresa, il conflitto è solo fonte di stress e, alla fatidica domanda: “Preferisci avere ragione o essere felice?”, la risposta per noi è sempre essere felice. Perché la felicità, ovvero quella dimensione di pace interiore è primaria come obiettivo nella nostra vita. Ci sono invece donne e uomini che hanno bisogno di identificare un nemico. Il conflitto che ne deriva li alimenta energeticamente. Sono galvanizzati, carichi e pronti a sferrare l’attacco; tutto ciò dà loro quell’inebriante sensazione adrenalinica di essere vivi.
Se nella lotta in cui si sono impegnati escono vincitori, ecco che il loro bisogno di conflitto si autoalimenta. Come una sete insaziabile, vogliono rimanere in quello stato di eccitamento che solo il sentore della disputa può dare loro. L’energia che deriva dal vivere la sindrome del nemico è tuttavia un’energia malata, può diventare una spirale di eccitamento da cui non si esce. In altri casi, qualsiasi sia il suo risultato – vittoria o sconfitta – può dare un senso di svuotamento, se non un principio di depressione, che può solo essere fugato dalla ricerca di un nuovo scontro.
Da un punto di vista spirituale il conflitto è lo specchio della nostra separazione dall’altro, siamo decisamente nel mondo della dualità: ciò che fronteggiamo non ci appartiene, è lontano da noi, da ciò che siamo, da ciò che riteniamo di essere. Se guardiamo un albero non riusciremo mai a sviluppare un’emozione conflittuale. Anche se non ci appartiene, chiunque di noi sente che fa parte della nostra vita e deve esserci, deve crescere, e nei recessi della nostra mente sappiamo che ci è pure utile. Quando invece noi viviamo chi ci sta di fronte come “altro” da noi, ecco che si possono innescare sentimenti di conflitto: il palazzo che ci sta di fronte e ci toglie la luce, il capoufficio che non riconosce i nostri meriti, il vicino che canta a squarciagola, i ragazzi che ridono e scherzano per strada. Se cerchiamo lo scontro, il mondo è pronto a offrirci mille spunti.
Il conflitto decisamente non può fare bene. Questo non significa che si deve rinunciare a qualsiasi battaglia, ci sono battaglie che siamo “chiamati” a combattere, a cui non possiamo sottrarci, ma sono quelle che facciamo per gli altri. C’è una sottile differenza tra conflitto e battaglia. Sono due modi di vedere il mondo: o pieno di nemici o ricco di amore. Nel primo caso la nostra visione è vivere il conflitto costantemente dentro di noi, aggrappandoci a ogni avvenimento della nostra vita che ci può aiutare a tenerlo vivo. Nel secondo caso vediamo solo amore e quando percepiamo che qualcosa può metterlo in pericolo od offuscarlo ecco che siamo pronti a metterci in gioco e iniziare una battaglia che quasi mai ci vede da soli sul campo. Nel conflitto invece siamo sempre da soli: noi e il nemico.
In pratica
Non è facile cambiare la visione che abbiamo del mondo, perché è formata dalle credenze e dalle ferite che sono dentro di noi. Vivere la sindrome del nemico e rendersene conto è il primo passo. Il successivo è andare a capire quali filamenti l’hanno fatta nascere e quali credenze continuano ad alimentarla. Dovremmo partire dalla domanda: “La mia vita è in armonia?” Se la risposta non è un sì pieno, vuol dire che qualcosa deve essere trasformato dentro di noi.
Se per noi è vitale che sia sempre riconosciuta la nostra ragione, forse dovremmo analizzare quanta autostima abbiamo, e perché “mollare” ci fa sentire sminuiti. Quando siamo centrati e ben strutturati non abbiamo bisogno che gli altri riconoscano la nostra ragione, lo sappiamo e basta, e allo stesso tempo accogliamo la visione dell’altro e non perdiamo alcuna energia nel convincerlo. Siamo in grado di dire la nostra verità, magari ascoltando l’altro e, se ascoltiamo veramente, ci rendiamo conto che, forse, abbiamo qualcosa da imparare.
Nella tradizione cabalistica si ritiene che, se manteniamo dentro di noi anche la benché minima dose di odio o animosità verso un’altra persona, per qualsiasi ragione che sia più o meno valida, sia che ne siamo consapevoli o no, noi continuiamo a portare distruzione nel mondo. Per questo, per annullare ogni forma di odio o risentimento dentro di noi possiamo ricorrere al Nome di Dio che scioglierà dentro di noi ogni animosità, riportando l’armonia dentro di noi. Visualizziamo l’immagine sotto riportata, che va letta da destra a sinistra, e lasciamo che agisca; queste lettere sono validi strumenti per sanare il nostro profondo.
I 72 Nomi di Dio sono strumenti molto potenti, ora utilizzabili da chiunque, perché la loro conoscenza è stata messa a disposizione di tutti e largamente divulgata.
La Floriterapia ci aiuta come sempre con i fiori di Bach, in questo caso Beech e Rock Water. Il primo renderà più ampia la nostra tolleranza e ci toglierà il vizio di cogliere e sottolineare solo il peggio negli altri. Il secondo scioglierà la rigidità dei nostri pensieri e ci renderà più accoglienti. L’essenza himalayana Strength, invece, ci sarà utile per rafforzare la nostra autostima.
Jose Maffina
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