Tutti noi siamo stati bambini, ma quanto è rimasto dentro di noi dello sguardo pieno di meraviglia che è frutto di quella innocenza? Abbiamo passato la vita a sentirci dire “cresci, diventa adulto!” e ora possiamo vantarci di essere forti e strutturati. Riusciamo a destreggiarci nel flusso esistenziale, parando colpi e leccandoci poi le nostre ferite. No, decisamente non vogliamo tornare indietro, troppa fatica c’è costato crescere. Ma recuperare la nostra innocenza non vuol dire questo.
Se nel nostro percorso di vita abbiamo lasciato dietro di noi lo stupore del fanciullo, liberandoci da esso come da una zavorra, purtroppo abbiamo perso la nostra parte più autentica: la nostra essenza.
Essere innocenti vuol dire essere aperti a ogni possibilità. Gioire delle piccole cose, incantarci di fronte alla ripetitività dei fenomeni naturali. Non riusciamo più a essere fanciulli alla scoperta del mondo, perché l’occhio con cui lo guardiamo è disincantato. Le nostre esperienze passate diventano, loro, vere zavorre poiché accogliamo ogni situazione da esperti conoscitori del mondo. Forse non abbiamo più tempo di bearci di un tramonto che diventa solo fastidioso perché si riflette sul nostro parabrezza. Non siamo più capaci di sentire il profumo della pioggia, perché troppo occupati a destreggiarci tra le pozzanghere.
Ma la parola innocenza significa anche mancanza di colpa. Purtroppo nella nostra vita la maggior parte di noi vive un’esistenza in cui in molti casi non riusciamo a trovare l’innocenza dentro di noi e siamo i primi a condannarci per quanto abbiamo fatto. Ciò significa accumulare i “sensi di colpa”. Alle nostre azioni o non azioni non riusciamo a dare una giustificazione, perché non siamo in grado di trovare l’innocenza nel nostro interno anche se la cerchiamo.
Tuttavia il più delle volte questo meccanismo di colpa è frutto di un condizionamento esterno: non siamo riusciti a mettere in atto quell’atteggiamento o quel comportamento che gli altri si aspettavano da noi. Siamo noi i primi giudici implacabili di noi stessi, a volte però sono anche gli altri che interpretano ciò che facciamo in modo diverso dalle nostre reali intenzioni, ci mortificano e sentiamo la colpa dentro di noi. Una madre che si lamenta, un figlio che ti rinfaccia qualcosa, un marito che ti pressa sulle sue esigenze, ecco che noi non ci amiamo abbastanza per sentire la nostra innocenza, le ragioni del nostro comportamento.
Riuscire a capire che ciò che abbiamo fatto o non fatto era il limite delle nostre forze, delle nostre capacità, del nostro desiderio di benessere ci assolve, perché abbiamo solo seguito noi stessi e possiamo quindi dirci che siamo innocenti. Se il mondo che ci circonda percepisce questa nostra convinzione, scatta un meccanismo paradossale, gli altri cominciano a rispettarci, smettono di chiedere in continuazione, si rendono autonomi e capiscono le nostre ragioni. Quando dentro di noi vibra questa certezza le persone si adeguano, è come se le loro menti si aprissero al fatto che, se non si è agito, è perché non si poteva veramente fare. I sensi di colpa si dissolvono quando l’attenzione agli altri è puntuale, ma mai prevarica le nostre esigenze, i nostri sogni e le nostre ambizioni. Saremo pronti a metterci al servizio degli altri, solo dopo aver badato a noi stessi.
Da un punto di vista spirituale l’innocente è colui che appartiene al Paradiso Terrestre dove non c’è peccato e non esiste né il bene, né il male.
Essere nell’innocenza vuol dire sentire che ogni cosa è Uno e che solo nel suo insieme noi troviamo la Luce.
Essere innocenti è tornare alle origini dove ogni cosa è Amore, ma solo perché ogni cosa viene vissuta nella sua interezza. Ricordiamoci che ciò che ci circonda non ci appare mai per quello che è, ma sempre per come il nostro filtro mentale lo vede. L’esperienza è quindi così negativa? Meglio essere degli ingenui creduloni pronti a spalancare la bocca per la meraviglia? La risposta è no a tutte e due le domande. L’esperienza è il nostro bagaglio, diventa negativa se crea un occhiale scuro che non ci permette di vedere la luce. L’esperienza è la discriminante per camminare sicuri nella vita, ci deve rendere solo più forti nell’affrontare tutto ciò che arriva sul nostro percorso. Questa forza, unitamente all’innocenza, ci permette di essere morbidi e non duri rispetto al nuovo, pronti all’accoglienza e alla nuova esperienza, sapendo che avremo ogni strumento per navigare in qualsiasi tipo di acque.
In pratica
Ciò che può aiutare a soffermarci su quanto ci circonda è la consapevolezza. Essere consapevoli vuol dire vivere pienamente l’azione che stiamo compiendo. Molti di noi compiono quasi sempre due azioni contemporaneamente: una è l’azione manuale, l’altra è l’azione mentale, e molte volte non coincidono: facciamo una cosa e ne pensiamo un’altra. Essere consapevoli vuol dire fare ciò che stiamo pensando. Quindi esercitiamoci a pensare in armonia con la nostra azione. Osservarsi è la strada giusta. Chiediamoci mentre facciamo qualcosa a cosa stiamo pensando. All’inizio è un po’ faticoso, poi ci aiuterà a essere nell’azione, in modo da darle la massima attenzione. Se un tramonto incrocerà la nostra strada, fermiamoci e guadarlo senza fare altro, ne vale la pena.
Se vogliamo farci aiutare dalla floriterapia, ecco che potremmo ricorrere a Star of Bethlehem che è una fiore di Bach usato principalmente per guarire la nostra ferita interiore, e non c’è dubbio che tutti noi dentro ne abbiamo una. Lo suggerisco perché ogni ferita limita il nostro procedere nella vita e ne condiziona il nostro modo di vederla. Guarire la ferita interiore è ritornare alla nostra essenza originaria quando potevamo guardare il mondo con innocenza e meraviglia. Va preso puro, una goccia, in un bicchiere d’acqua alla sera, sorseggiandolo.
Jose Maffina
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