La pratica della meditazione si sta diffondendo rapidamente e questo è un segnale indicativo di una certa nuova tendenza verso l’interiorizzazione e la ricerca di sé.
Ho scritto molto su questo argomento perché sono convinto che la meditazione sia una pratica assolutamente necessaria per consentire il contatto profondo e autentico con la nostra vera identità.
Ma ho dovuto constatare che sono molti gli errori a cui sono soggetti i meditanti, talvolta anche quelli che praticano da più anni.
Il primo errore è credere di stare facendo una pratica di meditazione, mentre invece si sta facendo altro! Col termine generico “meditazioni” vengono chiamate esperienze di ogni genere che hanno a che fare con la spiritualità o la presunta tale: canti, mantra, visualizzazioni, suggestioni, esercizi di respirazione, rituali e pratiche corporee.
Il secondo errore è meditare con qualsiasi fine o progetto. Alcuni si pongono delle intenzioni vere e proprie per ottenere qualcosa, persino avere una casa, riuscire in un affare, ecc. Anche volere la pace e persino l’illuminazione è considerato dai Maestri un errore nella pratica, che blocca lo sviluppo della coscienza. Per far crescere certe qualità ci sono delle pratiche apposite come, per esempio, nel Buddhismo la metta (sviluppare la benevolenza), la karuna (sviluppare la compassione), la mudita (sviluppare la gioia per gli altri), la Atisha (trasmutazione del dolore proprio ed altrui), e tante altre.
Il terzo errore è considerare la meditazione una pratica circoscritta ai 20-50 minuti da seduti. Essa invece dovrebbe essere esercitata anche nel quotidiano, soprattutto nei cosiddetti momenti morti della giornata, ovvero quando siamo in autobus, quando stiamo camminando per andare da un luogo ad un altro, nelle pause di lavoro. Per questo esiste la meditazione camminata.
Per non incorrere in equivoci bisogna dunque evidenziare che la meditazione è la pratica per sviluppare lo stato di piena presenza in ogni istante della vita. Non è quindi un’attività mentale, immaginativa e intenzionale. Per questo la si può fare sempre, a occhi chiusi e aperti. È uno stare e basta. Si può meditare anche mentre si parla, dopo una lunga pratica! Si entra in uno spazio oltre la mente, i pensieri, le considerazioni, le fantasie, i ricordi.
Naturalmente ci vogliono anni ed anni continuativi per stabilizzare questo spazio di presenza che include ogni cosa e per essere nell’osservatore silenzioso.
La coscienza (che noi già siamo adesso) è il substrato di ogni nostro processo ed è senza contenuti. Perciò meditare non è fare, ma essere. Meditare è stare con il dolore e non solo con la gioia, con la paura e non solo con la pace, disidentificati da ogni movimento della mente e del vitale, ma restando partecipi a essi.
Lo si comprende attraverso la pratica costante.
Continuo a precisare che non intendo dire che le altre pratiche siano inferiori, ma appunto sono un’altra cosa, agiscono diversamente, hanno altre funzioni.
Naturalmente bisogna stare molto attenti a quelle pratiche, che stanno proliferando, che creano suggestioni e aumentano i condizionamenti che vorrebbero eliminare.
Ogni ricercatore deve essere sempre vigile alle sue trappole egoiche e narcisistiche, e alle numerose proposte che sono di moda per un certo periodo di tempo, per essere soppiantate da altre, in questo fiorente mercato della spiritualità.
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