L’attuale funzionamento dell’essere umano ha una disfunzione di base che considero il limite di ogni limite, la base della sua infelicità e di tutte le conseguenze possibili. Questa disfunzione è la percezione di essere separato dal tutto.
La separazione crea una frattura continua tra sé e gli altri, tra sé e la vita. La conseguenza è l’impellente bisogno di superare questa separazione per mezzo dell’appropriamento. L’uomo è un predatore emotivo, mai sazio, perché non riesce mai a colmare il suo bisogno di unità con i metodi della conquista, della violenza, della costrizione, dell’accumulo.
Più cerca di prendere, più diventa lancinante il suo bisogno ed il suo vuoto. La strada del possesso non funziona mai, ma lo rende sempre più insaziabile e solo. In ciò che chiamiamo amore, questo fenomeno è evidente, quando l’altro si allontana. L’abbandono procura una grande sofferenza perché evidenzia la solitudine della separazione. L’oggetto amato diventa l’illusorio depositario della nostra completezza.
Per il guerriero invece il senso dell’abbandono offre una possibilità immensa di trasformazione perché egli lo adopera per spostare l’attenzione sul suo spazio interiore alla ricerca di quell’unità e di quel contatto con la vita che è l’unico a poter vanificare il senso di separazione.
La via della soddisfazione dei bisogni non può risolvere il problema della mancanza di comunione con sé e con la Terra. Ecco perché ogni abbandono consente al guerriero di lasciar cadere un po’ del suo bisogno. Bussando con maggior intensità alla porta della propria anima, si schiude l’esperienza dell’unione, anche se per pochi istanti. Tale esperienza inizia a vanificare l’illusione della separazione e quindi dell’abbandono.
Nella sua essenza nessuno è mai solo, nessuno è mai abbandonato. Ma questa consapevolezza non può essere solo mentale. Deve trasformarsi in esperienza vissuta. Questa è una delle sfide del guerriero.
Continua..
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