La tecnica del japa è antichissima ed appartiene a tutte le culture. Apparentemente può sembrare una procedura banale, invece è uno strumento efficace ed il cui potere aumenta con il tempo, se questa pratica è costante.
Il japa è la ripetizione di un mantra.
Dice Sri Aurobindo nel secondo volume delle “Lettere sullo Yoga” (Edizioni Arka):
“Nel centro del cuore ci si concentra in un’aspirazione per l’apertura, per la presenza nel cuore dell’immagine vivente del Divino o per qualunque altro oggetto della concentrazione. Può esserci il japa (ripetizione) di un nome, ma in tal caso ci si deve anche concentrare su di esso e il nome deve ripetersi da solo nel centro del cuore.”
Ciò che emerge da questo discorso è che la ripetizione di un mantra non deve essere quindi meccanica, ma bisogna metterci l’aspirazione, l’intento del cuore.
Anche Mère consiglia di concentrarsi sul centro del cuore e da lì ripetere il mantra. Per una concentrazione più intima e profonda il mantra va ripetuto mentalmente.
In un’altra lettera Sri Aurobindo dice: “Il japa dà generalmente un buon risultato solo ad una di queste due condizioni: se lo si ripete sentendone il significato (…) oppure se sale dal cuore o risuona in esso animato da una certa sensazione o sentimento di bakti (devozione)”.
Ma perché recitare un mantra ha una funzione nel percorso interiore? Ancora una volta ricorro alle parole di Sri Aurobindo: “Un mantra serve a creare nella coscienza interiore vibrazioni che la preparano alla realizzazione di quanto il mantra simboleggia e si presume che porti realmente in sé (…) Quando si ripete un mantra con regolarità accade che esso cominci a ripetersi da solo interiormente, il che significa che è stato assorbito dall’essere interiore: In questo modo diventa più efficace.”
Continua..
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