Una vera fonte d’infelicità è volersi cambiare. Non c’è nulla da cambiare in noi stessi e non siamo sbagliati. Ognuno ha la sua natura, le sue caratteristiche, le sue predisposizioni.
Lottare contro se stessi è una cosa veramente stupida. Significa esasperare il conflitto all’interno ed all’esterno. È invece un atteggiamento saggio iniziare ad accogliere ciò che siamo, comprese quelle parti che non ci piacciono, perché il primo vero passo è prendere atto senza giudizio di ciò che siamo.
Rifiutare una parte di noi o, peggio, detestarla, significa darle forza e combattere una battaglia persa in partenza. Noi dobbiamo invece includere ogni parte, se vogliamo integrarla e trasformarla.
“Voglio cambiare”, “voglio essere diverso”, è la litania del nostro secolo. Ognuno invece deve fare i conti con ciò che è e con ciò che ha, perché è proprio questo il primo atto di identità.
Il problema dell’infelicità non è essere sbagliati, ma non far funzionare armonicamente ciò che siamo, ovvero le risorse, le qualità, i talenti ed anche i limiti e le fragilità. Non dobbiamo cambiare macchina…ma rendere efficiente quella che abbiamo.
La trasformazione agisce su ciò che già siamo, integrandolo e accrescendo alcune caratteristiche e diminuendone altre.
Se ho i capelli bianchi, non li tingo, ma posso agire sulla loro lunghezza, posso averne più cura e mantenerli morbidi e pettinati; tingerli vuol dire cambiarli, averne cura vuol dire trasformarli.
Il segreto è rendere funzionale la struttura della nostra personalità, aderendo a ciò che siamo.
I tiranni contro noi stessi sono il giudice interno e il senso di colpa. Essi sono i nostri veri nemici che avvelenano la nostra vita a tal punto da boicottare anche i progressi che facciamo, insinuando che non ce li meritiamo.
Quindi, la trasformazione di sé avviene attraverso l’accettazione di sé, nutrendo sentimenti di tenerezza verso di noi, soprattutto per tutto ciò che ci rende deboli…
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