Nella scorsa puntata dicevo che Galileo (nato un 15 febbraio) ERA un celeberrimo Manaqe’el. Anche nei ritratti angelici uso spesso così il verbo «essere», e voi sapete già perché: gli Angeli di cui parla la Qabbalah sono Energie, e in questo mondo l’unico modo per comunicare con loro è appunto esserle, farle essere nella propria esistenza.
Il che non significa che la nostra immagine tradizionale degli Angioletti custodi che ci stanno accanto sia sbagliata. Tutte le tradizioni religiose sono giuste, nel senso che descrivono tutte – in termini simbolici – qualche autentica realtà spirituale. E tutte le tradizioni religiose, inoltre, hanno quella nobiltà che deriva loro dall’essere molto antiche.
Anche la suggestiva immagine consueta degli Angeli (che per alcuni versi somiglia molto all’’Ay‘a’el di questi giorni) è antichissima. Le sue origini vanno cercate addirittura in Egitto: all’epoca delle Piramidi si riteneva infatti che ciascun uomo fosse accompagnato sempre da un suo KA, da uno «spirito» protettore e in qualche modo incaricato di sorvegliare la sua condotta.
Il KA era raffigurato, nei geroglifici egizi, come due braccia alzate (molto simili alle due ali dei nostri Angioletti) e così come tanti di noi credono che dopo la nostra morte l’Angioletto ci restituisca al Mittente, allo stesso modo gli Egizi insegnavano che il nostro Ka presenzia al giudizio che subiamo nell’Aldilà – la psicostasìa, o «pesatura del cuore», nella quale si decide se l’uomo debba essere premiato o punito per come ha vissuto. A questa base egizia si fuse poi, nell’Occidente cristiano, l’immagine greca delle Nikai, delle «annunciatrici» che, si diceva, precedevano i messageri incaricati di portare le notizie belle (operavano insomma ciò che oggi chiameremmo precognizioni) e venivano appunto raffigurate con lunghe vesti bianche e larghe ali.
Grazie all’influsso delle Nikai l’Angelo prese appunto il nome di Angelo – dal greco aggelos, «messaggero», mentre nella tradizione ebraica si chiamava «inviato» (malakh) o anche «individuo» (’ysh).
Un altro contributo importante alla nostra immagine tradizionale degli Angeli venne anche dalle culture ancestrali europee, nelle quali molti animali erano ritenuti MAESTRI dell’uomo, o sue guide soccorrevoli (si pensi agli animali magici delle nostre fiabe): ed evidentemente la vitalità di questo sostrato animistico spiega perché non sembri mai strano a nessuno che gli Angeli – certamente superiori a noi sulla scala evolutiva – siamo esseri IBRIDI, in parte umani e in parte uccelli. Tutte cose bellissime, e profonde ma, ripeto, DIVERSE da quell’idea di Angelo come Energia che può esistere e agire con la tua cooperazione.
Tale differenza è segnalata anche nei Nomi degli Angeli della Qabbalah. Quelle immagini alate, antichissime e contemporanee, attribuiscono tutte quante agli Angeli, in un modo o nell’altro, un corpo – sottile, eterico, spirituale quanto si vuole ma pur sempre un corpo. E guardacaso, l’unica lettera dell’alfabeto ebraico che non compare mai nei Nomi dei nostri Settantadue è proprio la Ghimel:
g. In ebraico: Ghimel. Una g sempre dura. È il geroglifico della gola,e più in ge-nerale del corpo fisico, considerato come involucro dell’organismo e canale dell’anima.
Mentre l’Arcangelo Gabriele (il GBWR di ’EL, «l’eroe, l’uomo forte di Dio») porta orgogliosamente la sua G proprio perché le «missioni» di cui è incaricato riguardano tanto spesso i meravigliosi misteri del corpo umano, la fecondazione soprattutto, come ben sapete.
Continua..
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