Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

56. L’ALBERO DELLA VITA

16/05/09

L’Angelo di oggi, anche lui un Cherubino-Guardiano, è più estroverso del precedente: i suoi «protetti» hanno l’impulso a valutare non tanto la propria dignità, la propria forza di reggere a quel «bagliore», ma la dignità e la forza altrui. E concedono ad alcuni e ad altri negano, e dicono e non dicono, e si fidano e poi ci ripensano, com’è appunto spiegato nel loro ritratto angelico. Ma ciò che ancora non abbiamo spiegato è cosa sia quell’ALBERO DELLA VITA che YHWH voleva tener precluso all’uomo, e che pare faccia «vivere in eterno». Eccolo qua:

56_Albero_Vita2Sembra un albero di Natale, vero? Con le palline colorate, e i festoni… E infatti sono quasi sicuro che l’abete natalizio sia precisamente un modellino dello ‘Ets Khayym, dell’Albero della vita, cioè, di cui narra la Genesi. L’uso dell’abete nacque in Germania, pare, nel Cinquecento, e certamente interpretò le memorie degli antichi culti vegetali e soprattutto dell’Yggdrasil, l’Albero Cosmico su cui, secondo le antiche tradizioni nordiche, si reggeva l’universo. Ma quelle sfere e quei festoni CONGIUNGONO indubbiamente l’Albero nordico con quello della tradizione ebraica, che ha per di più la stessa funzione: reggere l’universo intero, e in più mostrarne la dinamica, l’energetica segreta.

Fu una congiunzione voluta? In Germania, nel Cinquecento, la Qabbalah fioriva e i suoi maestri erano stimati: forse l’immagine del loro ‘Ets Khayym colpì la mente di brave persone, che ne trassero ispirazione per la festa cristiana.

O fu un «caso»: l’archetipo dell’Albero cosmico, cioè, riemerse in quell’epoca in Germania, proprio quando vi fioriva la Qabbalah – come se vi fossero segreti vasi comunicanti, nell’inconscio dei popoli, e telepatie multiple. Qualcuno «vide» l’Albero della vita, così carico di sfere intercomunicanti, e DOVETTE dargli forma (si ha sempre un forte impulso a dare forma a ciò che ci capita di «vedere» spiritualmente), e in quella forma molti e molti altri riconobbero qualcosa che albergava, cresceva anche in fondo alla loro mente… Del resto, non dicevo proprio all’inizio di questo blog che la Qabbalah non si impara, ma si impara soltanto ad accorgersi di conoscerla già, e di poterne ritrovare il ricordo dentro di noi?

Certo, nell’Albero di Natale le sfere colorate sono divenute tante. Nell’Albero della vita sono invece undici, come vedete nell’illustrazione; e sono proprio le Sephiroth: quella in cima a tutte è Kether, dei Serafini (v. la puntata 52), quella più giù, sulla destra, è Khokmah, dei Cherubini. Poi passeremo a quella in alto a sinistra, Binah, dei Troni, e poi più giù. Quei «festoni» che le collegano sono in realtà canali, e sono il percorso, il gioco dell’Oca (altro ampio argomento esoterico), che tutti abbiamo percorso per arrivare fino alla sfera in fondo alla tutte le altre, Malkuth, ovvero «il Regno», che è il luogo dove ci troviamo ora, la nostra dimensione terrena. Lì si arriva nascendo e da lì – anche se non tutti sono d’accordo su questo – si risale alla fine della vita, ripercorrendo l’itinerario dal basso in alto fino a Kether e più su ancora, dove si deciderà se restare beatamente nell’infinito Io-non-io, o se tornare giù a fare qualche altra esperienza, in cerca di gloria, di riscatto, o penitenza, o magari in missione. Quanto al «vivere in eterno», bisogna intendersi: non significa vivere senza morire mai per un tempo infinito. Questo si chiamerebbe «vivere moltissimo» e sarete d’accordo con me che, dopo qualche secolo o millennio, risulterebbe un po’ noioso. No: «vivere in eterno» significa vivere NELL’ETERNO, in una dimensione che non ha il tempo, e nella quale ogni singolo attimo è perciò infinito e aperto su tutti quanti gli infiniti. È la dimensione della contemplazione, dell’emozione che dà la scoperta: basta un pochino di questa eternità per moltiplicare meravigliosamente la propria crescita interiore… E questo infastidiva YHWH (o così Lui volle far sembrare) perché a forza di crescere talmente, gli uomini sarebbero diventati ben presto e davvero «come uno di Loro».

Continua..

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