Dopo la riflessione sul rapace Lelehe’el, vi risulteranno certamente più chiari i prossimi due Serafini, che nei loro nomi hanno in comune una K, il geroglifico del «tenere sotto controllo». Sia l’Angelo di oggi, ’Aka’ayah, sia il successivo, Kahethe’el, somigliano ad argini, a chiuse di canali: frenano, regolano, deviano – per fare in modo che le irruenti energie divine trovino la loro giusta direzione. A potenziarle di nuovo, una volta che siano ben avviate, ci penseranno poi gli Angeli della Gerarchia successiva, gli esplosivi Cherubini.
E tra quelle energie lassù, molto tempo fa, c’eravamo anche noi. Le varie Gerarchie angeliche, dai Serafini, giù giù verso gli Angeli lunari, delineano infatti un ben preciso percorso lungo il quale discende, dall’infinito fino al nostro modo, tutto ciò che deve nascere: esseri viventi, opere, avvenimenti. E nelle Gerarchie si trova perciò la risposta a una di quelle domande che nel Catechismo non sono incluse. Il Catechismo è, come ricorderete, il nome che comunemente si dà a quel prontuario che i cattolici studiano e, in parte, imparano a memoria da bambini: è tutto domande e risposte, la prima è «Chi ci ha creato?» Risposta: «Dio». Poi: «Perché ci ha creato?» Risposta: «Per conoscerlo, amarlo e servirlo». Poi «Chi è Dio?» Risposta: «Dio è l’Essere perfettissimo…» e così via. Manca appunto la domanda riguardo al dove eravamo prima di venir creati – e non certo perché gli estensori del Catechismo non lo sapessero, ma perché non si è ritenuto prudente che certe informazioni si divulgassero troppo.
Nell’Angelologia la questione del «dove eravamo» ha invece un posto di tutto rilievo. E l’idea generale è la seguente: eravamo nell’Infinito, nell’Ain-Soph, al di sopra, al di là di tutte le Gerarchie, al di sopra, al di là di tutti i Nomi noti di Dio, al di sopra e al di là di qualunque cosa abbia o possa avere un nome. Non avevamo né tempo, né spazio, né confini, né numero, né io: ognuno di noi, lassù, era tutto e tutti, e tutto e tutti erano noi, in una sconfinata, unica Coscienza mai incominciata e mai finita. Lassù stavamo, evidentemente, benissimo. Poi è toccata a noi: c’è stato bisogno che qualcuno scendesse a fare la sua parte in quel cantiere che è la Creazione – ancor sempre in corso, come già ben sapete. Abbiamo fatto un gran sospiro, e abbiamo dunque intrapreso il viaggio verso il nostro parto. Prima tappa i Serafini, appunto. Indubbiamente siamo arrivati nella loro Sfera (Sephirah, in ebraico) carichi ancora di quell’atmosfera d’infinito, di illimitato da cui provenivamo, ancora increduli all’idea di poter avere dei limiti: ed eravamo proprio simili, allora, ai Wehewuyah del 21-26 marzo. Dopodiché, tra slanci ancora enormi e pressioni moderatrici sempre più nette (tra Lelehe’el e ’Aka’yah), abbiamo cominciato ad adattarci, a capire il rapporto tra il nostro immenso contenuto e la forma, necessariamente ridotta, che avremmo ricevuta. La nostra H ha cominciato a fare i conti con la W, la nostra L con la M e con la K…
Continua..
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