Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

127. IL TUO PARTNER NON È DIO

Mi invitarono a prendere il caffè e una signora mi disse: “Il mio compagno non mi rende felice, non capisce ciò di cui ho bisogno. Cosa devo fare? Forse non è l’uomo per me”.

Le risposi: “Se tu vedessi ciò di cui hai bisogno veramente, ti accorgeresti che il tuo uomo non c’entra niente. È un concetto errato pensare che lui possa appagare il tuo desiderio di felicità”.

Lei continuò imperterrita: “No, no, sono sicura, voglio proprio che sia così. Vorrei che mi abbracciasse di più, soprattutto quando sono giù, che mi ascoltasse profondamente dandomi l’impressione di capire e che comprendesse che i lavori di casa vanno fatti, punto. Vorrei che mi portasse più spesso fuori a cena e che mi facesse i regali giusti al momento giusto e anche che si prodigasse nell’organizzazione di qualche viaggio decente. Vorrei che mi facesse sentire importante e insomma, per dirla giusta, che capisse bene come rendermi felice”.

Mi misi a ridere divertita e la signora mi chiese il motivo. Le dissi che aveva scambiato quel povero uomo per Dio. Ma non quel Dio umanizzato che sembra una persona. Nemmeno Gesù Cristo avrebbe potuto corrispondere alle sue aspettative! Anzi soprattutto e proprio un essere pio non l’avrebbe mai fatto, perché i nostri bisogni nascono non per essere esauditi ma per farci vedere meglio le distorsioni che li hanno creati. Stava scambiando il suo uomo per quel Dio il cui nome è Sé.

La felicità che stava cercando sarebbe potuta arrivare solo dalla conoscenza della propria vera natura. L’insoddisfazione provata era creata dalle frequenze/credenze, spesso ereditate, proiettate sull’altro. Le dissi che non vedeva il suo uomo ma la storia proiettata su di lui.

“E questa storia cosa dice, da dove proviene?”, mi chiese lei.

Le risposi di osservare bene tutti i pensieri, credenze, visioni e sensazioni in relazione al suo compagno.

Mi raccontò una serie di giudizi la cui essenza diceva “lui non è in grado di amarmi come voglio io”, che, andando a indagare più a fondo, nascondeva un altro assunto: “non merito di essere amata”.

Le chiesi allora di osservare bene se sua madre o suo padre provassero la stessa sensazione, detto in altro modo, se uno dei due avesse quella credenza.

Lei mi disse: “Mia madre, assolutamente, identica alla mia”.

Si rese conto che i giudizi sul suo compagno non solo erano proiezioni, ma visioni ereditate. Sua madre vedeva suo marito così come lei vedeva il suo compagno.

Quasi svenne. Per tutta la vita si era detta che mai avrebbe avuto un rapporto come quello dei suoi genitori. E invece ora si era accorta che ne stava riproducendo uno uguale. Aveva criticato il modo in cui sua madre si era sempre rapportata a suo padre e ora aveva visto chiaramente che lei stava facendo la stessa identica cosa.

“Ma sei io vivo le frequenze ereditate che creano storie da me proiettate… vuol dire che non ho mai visto il mio compagno per quello che è?”, mi chiese lei.

“Esatto!”, risposi io, “così come non hai mai visto te stessa per quello che sei veramente”.

“E perché accade questa orrenda cosa?”, continuò lei.

Ero felice di questa domanda perché voleva dire che la signora simpatica stava entrando nel nocciolo della questione, così le spiegai che noi ereditiamo le frequenze/visioni disarmoniche dalla linea familiare per curarle, per renderle armoniche. L’Infinito Intelligente, attraverso di noi, o meglio attraverso l’illusione della personalità, fa esperienza del viaggio di ritorno delle frequenze disarmoniche all’amore perché questo Lo arricchisce di informazione. Il nostro vero lavoro è quindi quello di portare tutto il dolore che proviamo all’amore. Questo dolore è infatti formato dalle frequenze che passano da genitore a figlio finché non vengono risolte.

“Come dovrei fare allora per curare queste frequenze che mi perseguitano?”, chiese ancora lei sconsolata.

“La cura si chiama attenzione amorevole; offri ascolto e amore a ogni sensazione di sofferenza. Se senti paura alla pancia, tocca quel punto con tenerezza e porta lì tutto l’amore che puoi finché senti che la paura si dissolve. Ci può volere del tempo, giorni, mesi, anni… non avere fretta. Quando te la senti, per qualche momento, offri amore al tuo dolore”.

“E facendo così”, mi domandò lei, “vedrò il mio compagno veramente per quello che è? Sai… magari mi accorgo che è un poco di buono… non c’é mica da scherzare!”.

Sentivo il suo desiderio di conoscenza, anche se mi divertiva il fatto di quanto le interessasse sapere chi fosse veramente il suo uomo, così le risposi: “Riportando pian piano le onde disarmoniche all’amore, sarai in grado sempre più di scorgere quei meravigliosi spazi silenziosi nei quali vedrai lui per quello che è”.

“E cioè? Dai dimmi… tu sai già chi è lui veramente?” chiese ancora lei.

Lui è te, tu sei lui”, risposi io, “ma finché non lo sperimenterai, le mie saranno solo parole”.

La signora sorrise, fece silenzio per un attimo e poi disse: “Grazie, ho capito che per vedere chiaramente chi è lui devo prima conoscere bene chi sono io…”.

“Sì proprio così. Parti da lì. Quando passo passo scoprirai che la tua persona è solo una storia, comprenderai di essere la consapevolezza che tutto è. Solo allora non avrai più bisogno di essere amata da qualcuno perché sarai l’amore stesso”.

Lei si alzò dalla sedia, si mise la giacca improvvisando un balletto, poi si avvicinò e guardandomi profondamente negli occhi disse: “Voglio essere l’amore stesso… questa cosa mi piace!”

Si voltò e uscì dal bar continuando a danzare.

Carlotta Brucco

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