Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

134. IL PENDOLO

Quasi ogni persona solitamente vuole essere il centro di attenzione dell’altro. C’è uno smodato desiderio di conferma del propio valore, tanto che quasi tutte le relazioni vengono usate per mendicare valore. Ma è questo il modo per liberarsi dalla sofferenza?

Se non facciamo altro che sostenere il valore di un ego che non ha realtà propria, come potrebbe mai accadere l’unificazione dell’amore incondizionato? La felicità permanente non appartiene al senso del me, ma alla liberazione dal senso del me. 

Quindi cosa accade quando sosteniamo l’ego invece di riconoscerne il suo limite?

Io, io, io, io… urla attraverso ogni pensiero per essere sostenuto in ogni modo: vuole essere amato, stimato, lodato ecc., ma un io felice per quanto riesce a rimanere felice? Questo è il punto: il piacere egoico non dura, è un pendolo che tanto oscilla nel verso del piacere, tanto oscillerà in quello opposto del dolore. Quindi perché investire ogni momento della nostra vita in una lotta per un piacere effimero e impermanente?

Cosa accade se non vengono più generati pensieri di desiderio, aspettativa, voglio, non voglio? Accade che il pendolo si ferma nel mezzo, e lì si apre il silenzioso spazio d’amore che tutto è.

Finché ci saranno pensieri per dar valore, piacere e sostegno al senso del me, il pendolo sarà in azione e continuerà a oscillare tra piacere e dolore. Quando il pensiero egoico si accorge che è senza speranza, cioè che non potrà mai essere veramente felice in modo permanenente, inizia a fare silenzio. Il pensiero egoico vede il suo limite e tace. E in quel silenzio, in quella resa, accade un’insolita apertura dell’essere dove non c’è più oggetto ma solo soggetto. Non c’è più qualcuno che vuole qualcosa ma semplicemente c’è la coscienza di essere, solo quella, tutto ciò che esiste.

Se la libertà nasce dalla resa dell’ego che riconosce di essere senza speranza, perché si passa tutta la giornata invece a cercare di rendere il senso del me sempre più forte? Io, io, io io, guardatemi, datemi importanza, vogliatemi bene, guardate come sono bravo, guardate come sono bello, guardate come sono saggio, guardatemi, amatemi! E ci si incastra nella rete della sofferenza con le proprie mani…

Non abbiamo bisogno di dar valore a ciò che crediamo di essere, quanto piuttosto di vedere che ciò che crediamo di essere è un’illusione, è un concetto errato della mente che si è identificata con alcune caratteristiche respingendone altre.

Allora la direzione è quella del silenzio. Ogni volta che arrivano pensieri illusori che spingono a lottare per il piacere del senso del me, occorre riconoscere l’errore concettuale che c’è dietro e vedere che nessuna vera felicità è possibile in quella direzione.

Quando l’io fa silenzio ecco che si apre qualcosa, magari anche piano piano, ma arriva come una brezza di primavera: la coscienza di Sé si sveglia.

Un io senza speranza è pronto per arrendersi, un io che è ancora invischiato a lottare furiosamente per attrarre piacere e allontanare il dolore è ancora immaturo per lasciar spazio al Sé. Per far maturare la resa occorre quindi scorgere i limiti dei movimenti egoici finché non si riuscirà a far altro che silenzio.

E le relazioni come funzionano da questa prospettiva? Cosa accade se non c’è più un io che elemosina valore dagli altri? Provate a chiedervelo. Provate a sperimentare anche solo per un istante come sarebbero le vostre relazioni senza quei pensieri egoici che vogliono attenzione, amore. Non vi sentite più leggeri al solo pensiero che possa accadere questo? Quanta spontaneità, quanta libertà, quanta bellezza, quanto amore! Nessun paragone, nessun ideale, nessun giudizio, solo vita che scorre.

Compreso questo si vede l’importanza di smettere di combattere per un piacere effimero, e lasciare che ogni pensiero egoico di voglio/non voglio si dissolva in un silenzio del cuore sempre più profondo.

L’amore incondizionato è la fragranza dell’essere quando il senso del me finalmente tace.

Carlotta Brucco

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