Sto aspettando che Elia (il mio terzo figlio) si decida a nascere. Sono passati già nove giorni dal termine previsto. Speravo nascesse prima. Passeggio per il mio giardino contemplando i bellissimi alberi, che con le loro foglie mi permettono di non aver troppo caldo, e i fiori che abbiamo seminato ovunque. Nel centro del grande giardino siede un Buddha che sembra proprio un principe della luce. Ci giro attorno lentamente come i tibetani girano attorno agli stupa. Le cicale cantano a gran voce e Lou, la lupa, mi segue come a voler condividere questo momento. Poi mi siedo sotto il portico con Stefano che mi legge a voce alta un bellissimo libro. Mi sembra di essere nel mondo ma non del mondo. Calma e pace regnano sovrane come per offrire l’ambiente adatto al bimbo che deve nascere.
Sto aspettando e basta: tutto quello che devo fare, perché questo momento mi dice che il mio compito ora è solo aspettare. Non seguo i pensieri del futuro che mi porterebbero nel dolore che dovrò affrontare a breve, e non porto alla mente il passato perché non mi interessa per niente. Aspetto contemplando tutto ciò che c’è ora. Non mi è richiesto altro. Sento il flusso della vita che scorre se comprendo la voce del momento; e questa mi dice che devo solo aspettare.
L’attesa è un tempo magico perché permette alle forze nuove dentro di noi di maturare e di venire alla luce. Non ci richiede nulla, nessun intervento, nessuna azione. La vita sa, noi no; la pianta cresce spontaneamente, non ha bisogno che le diciamo come fare.
Uno dei grandi problemi di oggi è che quasi nessuno sa più aspettare perché considera il proprio continuo intervento pensante l’unico modo di vivere. Invece basta osservare la natura per capire che non è così. Quando è l’ora dell’attesa, quella diventa la nostra azione, il nostro modo per risolvere i problemi. E dopo aver seminato, tutto ciò che ci è richiesto di fare è attendere rilassati e in pace i frutti del nostro lavoro.
Aspettare annoia la maggior parte delle persone quando invece è il tempo migliore, quello della contemplazione, quello che ci permette di abbandonarci tra le braccia della vita per essere coccolati. Tra la semina e il raccolto c’è un lungo periodo che ci chiama a riposarci. Spesso non lo cogliamo e questo diventa fonte di stress e di problemi. Si ha paura di perdere tempo ma, quando è l’ora giusta, l’attesa è la miglior risposta alla vita.
A me non è mai piaciuto aspettare ma nel corso degli anni ho dovuto imparare e ora ne colgo l’importanza. Ogni situazione, ogni creazione, ogni aspetto interiore matura solo nel momento giusto. E’ inutile dibattersi per raccogliere i frutti prima del tempo ed è inutile perdere energie nel desiderarlo. L’attesa è il momento sacro del riposo e della pace, dove la vita sta lavorando per noi. Chi si annoia non fiorirà. La noia è lo scappare dalla vita e da se stessi…
Sto allattando Elia sul divano di casa. E’ il primo giorno che mi sento bene ed è il primo giorno che lui dorme. L’ultima settimana è stata piuttosto impegnativa!
Stavo aspettando… il frutto è maturato ed è dovuto cadere per essere raccolto. E cadere fa male, ma va bene così. Quel giorno la vita mi ha chiamata al “dolore”, null’altro che dolore, talmente forte che tutto è stato colorato solo dal dolore. Mi sono sentita così vicino alla morte che mi sembra di esserci passata attraverso. Tutto quel dolore fa crollare ciò che sei e tutto ciò che pensi; scuote nelle fondamenta, distrugge ogni forma di rigidità e porta alla morte quelle parti di te che non ti servono più.
Gesù sulla croce urlò: “Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Ma uno studioso di aramaico sostiene che l’esatta traduzione è: “Dio mio… io non ti sento!”.
Non sentire Dio (per chi è abituato ad avvertire sempre la Sua presenza) è la più grande sofferenza che sembra a volte emergere quando il dolore raggiunge i limiti della sopravvivenza umana. Il dolore fisico a quel livello porta la persona consapevole a una morte iniziatica, a una trasmutazione alchemica, a una cessazione di alcuni aspetti di sé.
Quel giorno la vita mi ha chiesto di arrivare al limite massimo. Non dovevo far altro che passarci attraverso. Non mi era chiesto di sentire Dio, e in quegli ultimi momenti di dolore estremo non percepivo la Sua presenza. Fino a un certo punto ho trovato Dio nel dolore. L’ho riconosciuto anche lì, ma poi quando il corpo è diventato debole e stremato, tanto che mi sembrava la vita fosse appesa ad un filo… c’è stato spazio solo per il dolore.
“Non Ti sento, non Ti sento, dove sei finito? Perché non Ti sento più!”. Il non sentire Dio mi creava sofferenza che è diversa dal dolore. Prima c’era sì molto dolore ma ero nella Sua presenza quindi non c’era paura ne alcun altro stato negativo, ma dopo che il passare delle ore ha prosciugato ogni forma di energia vitale e non Lo avvertivo più in me e con me… ecco la sofferenza! A dir la verità la Sua compassione infinita non mi aveva abbandonato del tutto poiché mi aveva lasciato accanto Stefano, compagno della vita mia; il suo amore e la sua presenza hanno tenuto accesa quella piccola fiammella di forza che ancora rimaneva in me per continuare a guardare verso la luce alla fine del tunnel.
Dio si è fatto silenzioso solo per poco; serviva così. Dovevo stare sola con il dolore, sentendomi abbandonare dal corpo, dalle forze, da Dio. Questo era per me, in quel momento, la morte che avrebbe portato rinascita. Occorre solo passare attraverso quel momento tremendo, senza pretendere altro da sé, poiché è un passaggio che ha fine; un tunnel buio che porta alla luce. Non importa come lo attraversiamo; in quel momento ci è richiesto solo di andare avanti, così come ci viene, mantenendo unicamente un ascolto presente di ciò che sta accadendo. Non ci è chiesto di essere perfetti, coraggiosi, invincibili… solo umilmente umani, mostrando la nostra piena debolezza e fragilità.
Quando tutto mi sembrava perso, anche la vita… è nato Elia. Il dolore, poiché aveva svolto il suo compito portandomi al di là del tunnel, si è dissolto nella luce della nascita del piccolo e nella rinascita mia. Silenzio, pace, vuoto… quel vuoto che attende la nuova alba: nuove forze, nuove energie, pure, limpide, fresche appena nate, come il bimbo.
Ora che sono passati giorni da quel dolore terribile, lo posso ringraziare profondamente perché mi ha offerto una morte meravigliosa che mi ha permesso di rinascere nuova per sentire e servire Dio, la Vita ancora più intensamente. E quella morte non solo ha dato la vita a me ma anche a questo piccolo grande principe della luce che tengo in braccio. Quanti doni!
Che io possa condividere ogni istante di libertà con tutti quelli che lo desiderano.
Che Elia Rachel possa crescere nell’amore e nella saggezza in modo da essere una presenza utile al mondo sofferente.
Che voi possiate sempre sentire quell’amore che mai vi abbandona anche quando tutto vi sembra solo dolore e sofferenza.
*
Conferenza di Carlotta Brucco (11 marzo 2012, Libreria Esoterica, Milano)
http://youtu.be/Nt82lO5RzYw..
Lascia un commento con Facebook