Molto diffuso è parlare oggi di “risveglio”. E non si tratta di quello mattutino!
Il risveglio della consapevolezza a volte sembra una pratica strana per pochi eletti. Da una parte viene indicata come qualcosa che tutti possono realizzare, dall’altra sembra occorrano doti speciali.
Il risveglio alla nostra vera natura è, sì, proprio per tutti… Siamo nati per questo, ma per spezzare i legami dei nostri condizionamenti che ci tengono incatenati all’illusione è necessario un fuoco particolare senza il quale non possediamo abbastanza energia per riuscirci: il fuoco della compassione.
Praticare la via del risveglio con la sola motivazione di eliminare la nostra sofferenza può non essere sufficiente in quanto molto spesso ci troveremo di fronte a catene di condizionamenti così forti che ci indurranno a darci un sacco di scuse per non applicare con la giusta costanza i metodi e le tecniche per ritornare a “casa”.
Il voler eliminare la nostra sofferenza è un buon motivo per destare la presenza, ma visto che quest’ultima è una pratica che richiede attenzione senza distrazione, e quindi molta energia vitale, non sempre saremo disposti a passare attraverso quella che ci sembrerà una grande fatica. Ci sarà anzi molto più semplice e piacevole continuare con le nostre abitudini che ci tengono ben addormentati.
Quante e quante volte le persone mi dicono: “Sono troppo stanco per praticare”, “ho poco tempo”, “non ho voglia”, “dopo mi metto”… A parte il fatto che il risveglio della presenza dovrebbe essere una pratica continua, un gesto del cuore e un orientamento dell’anima, ma come possiamo pensare di liberarci dalla sofferenza se non abbiamo abbastanza energia per utilizzare i mezzi adatti a tal scopo?
Il fuoco a disposizione per liberare solo noi stessi è tiepido, non basta. Ci interessa non soffrire più solo fino al punto in cui le nostre abitudini interiori ed esteriori non vengono intaccate più di tanto. Vengono da me piangenti e disperati chiedendomi aiuto perché sono stufi di soffrire e, quando consiglio qualche esercizio di pochi minuti per allenare la presenza, mi sento spesso rispondere cose del tipo: “No, stasera non posso iniziare perché c’é Pechino Express, domani mattina vado a lavorare in ufficio e lì, sai, mica posso fare qualcosa di strano… È un lavoro che detesto, ma mi devo conformare esattamente a tutti gli altri e fare ciò che si aspettano da me; poi vado a pranzo con i colleghi altrimenti rovino i rapporti. Esco alle 18 e devo passare dal supermercato altrimenti non ho niente da mangiare, poi mica vuoi che non mi faccia una doccia, eh?! Ceno spero con qualcuno che voglia ascoltare quanto male sto e poi… guarda…sono sfinito/a per qualsiasi pratica di qualunque tipo e l’unica cosa che posso fare è guardarmi il Grande Fratello! Però, dai, visto che voglio veramente essere felice allenerò la mia presenza con la pratica che mi hai insegnato quando vado a far pipì al bagno in ufficio… solo che ci devo star poco perché ci controllano, dobbiamo far veloce”. Questo accade ai single, figuriamoci a chi ha una famiglia.
Mi chiedo perché le persone facciano tanta fatica a capire che non c’è un momento in cui la pratica della presenza non vada allenata! E invece non sono nemmeno disposti a fare qualche esercizietto! Il problema è che destare la coscienza richiede energia, molta energia; è molto più facile continuare a farsi cullare dall’illusione.
Ci vorrebbe un fuoco molto più intenso che ci permettesse di orientarci verso la presenza senza uno sforzo esagerato che non siamo disposti a fare. E questo grande fuoco può venire solo dalla compassione. Ma che vuol dire?
Ascoltare, sentire la sofferenza degli altri, di uno o tanti o tutti con il cuore aperto senza chiuderlo, senza provare rabbia, senza scappare, senza entrare nel giudizio del giusto o dello sbagliato, e rimanere lì in ascolto, da cuore a cuore… Lì in silenzio, senza dire la nostra, finché il fuoco ci prende e ci fa dire dal profondo della nostra anima: “Qualcosa per tutta questa sofferenza devo farla anch’io”.
L’amore non è amore se non contempla un agire di qualche tipo. Ma ci sono infiniti tipi di azione e ognuno sceglierà la propria. Ognuno si sentirà spinto a servire la vita attraverso le proprie passioni, attraverso ciò che sente il suo cuore.
Con la compassione nasce il fuoco che ci serve per mettere spontaneamente al primo posto la via per liberarci perché, se vogliamo aiutare gli altri a essere felici, dobbiamo per primi esserlo noi. Ci verrà comunque il grande desiderio di fare qualcosa già da subito; vorremo offrire la nostra goccia di luce al mondo e questo può accadere attraverso l’unicità della nostra storia, dei nostri talenti, delle nostre passioni.
La compassione ci fa sentire insieme, un solo cuore; senza quella forza siamo troppo tiepidi per svegliarci.
Questo mondo illusorio ci alletta con le sue false promesse e ci tiene tra le sue spire ipnotiche offrendoci l’assurda sicurezza di una casa non nostra. Ma la compassione è più forte dell’illusione, ci scuote, ci sveglia e ci fornisce l’energia necessaria per divenire consapevoli della felicità.
Carlotta Brucco
..
Cara Carlotta, sei preziosa ai tuoi amici, una vera rimpoche perchè ci ricordi che la pratica non può che rivelarsi attraverso gesti e atteggiamenti concreti con lo scopo di mortificare un po’ di più, sempre un po’ di più… il nostro pretenzioso ego. Costa fatica, ma esistono cose belle al mondo senza un po’ di fatica? una metafora sempre valida per me resta quella della salita in montagna. Dopo il sacrificio, dopo la rinuncia, ” accade” il panorama spettacolare, accade il cielo, accade
lo squarcio tra le nuvole, accade che ritrovi te stesso.
Grazie. un abbraccio.
Donatella