Ognuno di noi ha bisogno di relazioni. Fin da bambini il contatto con la mamma soprattutto, e poi con il papà, è stato fondamentale per la nostra crescita equilibrata. Anche se molti di voi diranno che il vostro rapporto genitoriale non è poi stato così sano come avreste desiderato, non importa: osservate quanto sia sempre stato importante per voi la ricerca di un relazione soddisfacente.
Ma cos’è questo scambio? Credo si possa riassumere in questa frase: “Io Vedo te, tu Vedi me”.
Ovviamente nella maggioranza dei casi questo non può avvenire, in quanto le dinamiche difensive e reattive personali rendono possibile unicamente la relazione con le proprie proiezioni, date dai propri condizionamenti limitanti. Detto in altre parole normalmente la relazione non avviene con l’altro in quanto tale, ma avviene con i nostri limiti, con le nostre visioni distorte ereditate dagli avi e dal collettivo. Tutto quello che vediamo sono le idee che abbiamo dell’altro create dai nostri condizionamenti; praticamente ci relazioniamo con noi stessi. Quello che vediamo dell’altro non è l’altro ma la nostra personalità, cioè quel groviglio di frequenze ereditate alle quali hanno dato un nome e un cognome.
Ci relazioniamo quindi con le frequenze di sofferenza ereditate che dobbiamo curare e che quindi ritornano in una coazione a ripetere finché non le portiamo a coerenza cioè a uno stato armonico sufficiente per andare oltre.
Faccio un esempio: la compagna di Giacomo legge un libro seduta sulla poltrona alle ore 19.00. Voce nella testa di Giacomo che rientra dopo il lavoro: “Invece di farmi da mangiare, occupandosi di me come una brava donna dovrebbe fare, è lì a far nulla! Invece io, poveretto, che ho lavorato tutto il giorno e porto a casa i soldi per farle fare una bella vita… Non è giusto. bla bla bla bla…” (può continuare per ore, come un vero e proprio film).
Questa voce nella testa che sente Giacomo è data da una frequenza, cioè da un sentire profondissimo che potremmo chiamare “povero me, io sono bravo, che faccio il mio dovere, e l’altro si prende gioco di me” non è data da una realtà oggettiva. Se non si comprende questo, non c’è speranza!
Questo sentire o frequenza molto probabilmente è la stessa della madre o del padre di Giacomo (dipende da quale linea genetica è attiva per quell’ambito). Le frequenze ereditate, che sono delle vere e proprie visioni con un potere creativo, sono spesso di mancanza, per cui generano sofferenza e sono un vero e proprio habitat naturale nel quale ci si sente a casa. Il nostro corpo stesso, dentro la pancia della mamma, si è formato in quelle frequenze. Viviamo dentro di esse e per questo motivo le proiettiamo fuori, su qualsiasi evento accada. Ci sembrano la realtà quando invece sono solo il sapore nel quale siamo immersi. Sono solo un sapore preesistente, un colore ereditato, il suono della mamma attraverso il quale guardiamo la vita.
Guardiamo ora come vive la stessa situazione Sara, la compagna di Giacomo.
Le voci nella testa di Sara sono: “Oggi sono talmente esausta, se non mi fermo un attimo per ritemprare la mia anima crollo in depressione. Tanto Giacomo di sicuro mi capirà e non avrà problemi se ritardo la cena di mezz’ora.”
Poi entra Giacomo in casa dal lavoro, vede che Sara è sulla poltrona a leggere, quindi nascono le voci nella sua testa ereditate dalla mamma, e reagisce chiudendosi a Sara, iniziando a relazionarsi a lei con distanza e indifferenza. Allora nascono in Sara altre voci interiori di reazione alla chiusura di Giacomo: “Ecco, è distante, non mi ama più, si vede che ha trovato un’altra o non gli vado più bene: è finita. Me lo diceva mia madre che non è possibile una relazione felice con un uomo”.
Mettiamo che Sara abbia ereditato dalla mamma proprio la frequenza/credo/visione del “non è possibile una relazione felice con un uomo” e quindi proietti quella frequenza su ogni chiusura di Giacomo, che invece avviene per tutt’altri motivi da quelli che pensa Sara; cosa accadrà alla loro relazione? Si sono incontrati Sara e Giacomo durante questo evento? Si sono visti, hanno avuto uno scambio? Oppure si sono semplicemente relazionati con le proprie personali proiezioni delle frequenze ereditate? Semplice ed evidente è la risposta.
La stessa cosa avverrà tra di loro per molti, molti altri eventi di vita quotidiana, finché le dinamiche quotidiane di chiusura di entrambi, non viste e non curate, rovineranno la loro storia.
Dobbiamo rassegnarci a relazionarci con le nostre frequenze ereditate invece di incontrare l’altro? Ovviamente no.
Ma dobbiamo capire perché questo avviene, cioè dobbiamo capire a fondo il motivo per cui incontriamo sempre le nostre frequenze. Il motivo è semplice: per curarle.
L’universo ha bisogno dei nostri passaggi interiori dal dolore all’amore: lo arricchiscono di possibilità di realtà nella manifestazione. Sì perché Lui è perfetto e possiede tutte le possibilità di realtà nello stato immanifesto, ma per arricchirsi delle possibilità di realtà nello stato di manifestazione si racconta la storia della dualità, dove diventa il molteplice, dove diventa tante persone con tante storie diverse. Ogni storia è un viaggio immaginario dall’Uno al due e dal due all’Uno. Ogni storia è sacra e unica, perché è nata per arricchire l’Infinito di esperienza, o meglio di passaggi dal due all’Uno, cioè di passaggi dal dolore all’amore.
Per questo tutte le frequenze ereditate hanno la loro funzione e si ripetono nelle generazioni e nel collettivo finché il viaggio dal dolore all’amore non sarà stato compiuto.
Questo è il nostro vero lavoro, il motivo per cui esistiamo: riportare le nostre frequenze di sofferenza all’amore.
È proprio per questo che non vediamo altro che quelle. È per questo che vengono proiettate su ogni evento e si ripetono ancora e ancora. Vogliono essere riportate all’amore. Perché questo è il nostro sacro servizio all’universo. Passo passo anche il dolore dell’identificazione alla persona che crediamo di essere tornerà all’amore: ecco allora che si risveglierà la consapevolezza della nostra vera natura, Dio anziché io.
Ma come si porta una frequenza di sofferenza all’amore? Cosa vogliono le nostre frequenze di dolore?
Vogliono solo attenzione. Vogliono una costante e continua tenera attenzione. La stessa affettuosa attenzione che daremmo a un piccolo bambino che urla perché sta male. Forse non lo accoglieremmo abbracciandolo e facendolo sentire amato? Forse non staremmo con lui per tutto il tempo necessario?
La stessa cosa vale per le nostre frequenze di dolore; riconosciamole, ascoltiamole con coraggio senza scappare, offrendo a esse tutta l’attenzione e l’amore che daremmo a un bambino ammalato.
Quando avranno ricevuto abbastanza attenzione e amore semplicemente svaniranno per lasciar posto a quello spazio meraviglioso di pace e chiarezza che c’è dietro a ognuna di esse.
Solo allora saremo in grado di incontrare veramente l’altro per onorare la sacralità del vero scambio che si compie“nell’Io sono te, Tu sei me”.
Carlotta Brucco
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