“Ho paura che la vita mi sovrasti con tutta la sua imprevedibilità, con tutto il dolore che può portare, con tutte le cose spiacevoli che possono accadere…” dicevo al mio maestro ai tempi del liceo.
Maestro: “ Pensi che la vita sia qualcosa separato da te e che possa farti del male veramente? Credi che la vita accada a te?”
Io: “Certo che accade a me.”
Maestro: “E se tutto quello che tu chiami vita, invece, fossi te?”
Io: “Sono io quello stronzo che mi ha rubato la macchina?”
Maestro: “Certo, lui è in te, è un aspetto di te. È un’immagine di te. Tutto è in te. Non sei quella persona che credi di essere. Sei tutto quello che vedi, senti, percepisci.”
Io: “Non capisco. Come faccio a comprendere questo?”
Maestro: “Non cercare di capire. Senti ciò che ho detto nel corpo. Permetti al tuo corpo di nutrirsi di queste parole.”
Io: “È come se non volessi accogliere le tue parole nel corpo, perché, per farlo, dovrei lasciare spazio. Quello che credo di essere riempie tutto lo spazio.”
Maestro: “Lascia andare ogni credenza su di te, allora.”
Io: “Ma fa male…”
Maestro: “Fa male se stringi, se afferri. Lascia andare. Apri i pugni e molla la presa; apri ogni punto del tuo corpo e lascia andare. Permetti a ogni punto del tuo corpo di espandersi.”
Io: “Ma così non so più chi sono.”
Maestro: “Perché pensi che sia vero quello che credi di essere?”
Io: “Diciamo che, se mollo quei pensieri che mi definiscono, mi sento svanire.”
Maestro: “Ma svanisce solo quello che non sei. Come potrebbe sparire ciò che sei veramente?”
Io: “Ma ho paura…”
Maestro: “Hai paura di vedere chi sei?”
Io: “Ho paura di quello che potrei trovare.”
Maestro: “Allora continua a vivere credendo di essere quello che non sei, così metterai al sicuro quel personaggio. Non c’è fretta.”
Io: “Non voglio questo. Non riesco più a credere alle storie che si racconta questa persona.”
Maestro: “Allora lascia andare ogni pensiero che dice di sapere chi sei e rimani con quello che c’è. ”
Io: “C’è una sorta di vuoto in me.”
Maestro: “Sii quello, senza cercare di ridefinirti.”
Io: “È come uno spazio infinito in cui c’è tutto. Ma non riesco a mettere a fuoco questo ‘tutto’…”
Maestro: “Non avere fretta. Rimani in ascolto di questo ‘tutto’ così che piano piani si manifesti.”
Io: “E che faccio?”
Maestro: “Non fare, lascia che il ‘tutto’ acquisti coscienza di sé in modo unico e meraviglioso. Sei lo spazio consapevole nel quale tutto accade.”
Io: “E la vita?”
Maestro: “La vita è il movimento di questo risveglio. Lasciala accadere, è in te, per questo è te.”
Io: “E come faccio a scegliere tra le varie azioni del quotidiano?”
Maestro: “Ascolta la vita. Ascolta quel vuoto pieno di tutto. È intelligente, sai? È amore intelligente.”
Io: “E dove lo sento?”
Maestro: “Nel corpo, sentirai vita che scorre o vita che si ferma. Scegli la vita che scorre.”
Io: “Ma nel corpo di carne ed ossa?”
Maestro: “Dove senti paura, amore, rabbia, espansione? Dove senti ogni sensazione? Dove senti l’esperienza del guardare quell’albero di fronte a te?”
Io: “Nel corpo, ma c’è qualcosa che mi sfugge…”
Maestro: “Certo, perché quando dici ‘corpo’ credi che ‘corpo’ sia quell’immagine di te che vedi riflessa nello specchio, quella forma limitata nella quale pensi di essere rinchiusa.”
Io: “Non è così?”
Maestro: “No. Quell’immagine, quella forma è contenuta in te. Ricorda: tu sei lo spazio infinito che tutto contiene e nel quale tutto accade. Contiene anche quell’immagine che definisci ‘tuo corpo’. Ma quando ascolti ciò che chiami ‘tuo corpo’, stai ascoltando l’esperienza di quel tutto che si sta sperimentando in modo unico e che, passo passo, sarà sempre più forte e totalizzante.”
Io: “Qual è il mio vero corpo?”
Maestro: “Non definire cos’è il tuo corpo. Sperimentalo. Il tuo corpo è quello spazio là dove senti tutte le esperienze. Quel luogo dove c’è esperienza. E l’esperire è vita.”
Io: “Posso dire che il mio corpo è la vita o meglio, l’esperire è vita?”
Maestro: “Il tuo corpo è l’esperire. L’esperire è vita. Il tuo corpo è, quindi, vita. L’esperire si arricchisce di informazioni, di conoscenza, da sé. Non c’è alcuna persona che conosca alcunché.”
Io: “Quindi, se sono vita intelligente, come posso farmi del male da sola?”
Maestro: “Appunto, non ti creeresti sofferenza da sola. Una tua mano non si mette a picchiare l’altra.”
Io: “Allora perché la vita, spesso, porta dolore?”
Maestro: “La sofferenza è portata da un pensiero, da una credenza, da un modo di guardare che crea resistenza al flusso della vita. E la vita sei tu!”
Io: “La sofferenza è un’increspatura nel flusso che crea una resistenza, ma serve anche quella, perché permette esperienza unica… Giusto?”
Maestro: “Sì, ma ricorda che il flusso ha bisogno di muoversi; quindi, la sofferenza è anche un invito a lasciare andare un modo di guardare a se stessi, alle cose del mondo, all’esistenza, affinché possa sorgerne uno nuovo, più utile a proseguire il viaggio.”
Io: “Ma, se io sono la vita, questo nuovo modo di guardare è voluto sempre da me?”
Maestro: “Certo. L’esperire che sei sta procedendo, e per continuare il viaggio occorre un nuovo sguardo, che sappia vedere più chiaramente, che sappia riconoscere sempre meglio ciò che tutto è.”
Io: “E l’amore, in tutto questo?”
Maestro: “L’amore è la forza che muove tutto il viaggio. Puoi sentirlo da te quando porti tutto al cuore. Tutto vuole essere accolto al cuore perché tutto è già in te, ma non c’è consapevolezza di ciò. Allora serve portare, o meglio sentire, tutto ciò che si crede fuori, dentro di sé. Perché così è già ora, dentro di sé. Saprai allora di essere amore, e che tutto lo è”.
Io: “Allora sì che posso fidarmi della vita.”
Maestro: “Completamente!”
Carlotta Brucco
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