Spesso si parla di “elevare la propria frequenza”, come se ci fosse una levetta da alzare e abbassare.
Mantra, meditazione, musica, danza, respiro. Ecco la pace, l’armonia, finalmente!
La preghiamo di rimanere, ma è fugge via e dopo poco cadi di nuovo in basso, nella paura, nella rabbia, nella preoccupazione e cresce il senso di colpa per essere crollato di nuovo.
Perché l’attenzione viene richiamata continuamente da paura, rabbia ed emozioni difficili? Perché non riesce a rimanere nelle alte frequenze della pace e della gioia che tanto desideriamo?
Come mai la paura chiede attenzione? Non basta dire “porto attenzione solo alle alte frequenze dell’essere” affinché questo accada?
Immagina un bambino o una bambina, che ha vissuto momenti così bui da avere preso casa nel terrore. Pensa ai tuoi avi durante la guerra e immagina quanta paura hai dovuto sentire nelle tue vite passate.
Prendiamo quel bambino o quella bambina. Immaginalo di fronte a te, disperato, che piange terrorizzato. Oppure immagina quella bambina infuocata dalla rabbia: senti l’intensità di questo dolore. Cosa vuole? Solo un’amorevole attenzione.
Puoi andartene alle alte frequenze dell’amore universale ignorando questo corpo di dolore?
Puoi lasciare la tua attenzione nella casa della pace, con un bambino fuori che bussa e urla terrorizzato?
Prima c’è da fare qualcosa. Incontrarlo. Abbracciare quel bambino/quella bambina che ti sta chiamando. Vuole essere visto, accolto, ascoltato. Così che il suo dolore possa dissolversi nell’amore.
Quel dolore – del campo, morfogenetico, collettivo, karmico – chiama. E non puoi salire alle alte vette ignorandolo. Che amore sarebbe? Vuole venire con te. Non puoi lasciarlo indietro, non puoi far finta che non ci sia. Ma per incontrarlo, per accoglierlo, per amarlo, occorre sentirlo, non basta pensarlo. Stavolta è opportuno sentirlo in un modo diverso dal solito.
Ricorda, infatti, che quel bambino e quel dolore è solo un aspetto di te, non la tua interezza. Ascoltalo, risentilo, come se tu fossi lo spazio che lo contiene. Risentilo come se fosse un’onda, una sostanza che scorre nel tuo corpo. Non sei quel dolore per questo puoi lasciarti attraversare. Come una sostanza che ti scorre dentro e che vuole solo essere accolta. Così che possa ritrovare la sua forma armonica. E tornare all’amore.
Offri a quel bambino tutta l’attenzione che vorresti ricevere, tutto l’ascolto che hai sempre desiderato per te. Offri quell’abbraccio che hai sempre aspettato e che non è mai arrivato, quella presenza che ti è sempre mancata. E stai a vedere cosa accade. Non avere fretta. Non è un problema da risolvere, ma un viaggio meraviglioso dal dolore all’amore. Lasciagli i suoi tempi.
Ecco allora che, quando quel corpo di dolore sarà stato accolto, ascoltato, compreso, amato, tornerà a sorridere e non chiamerà più attenzione. Attenzione che sarà ora libera di dimorare stabilmente nelle alte frequenze dell’essere.
Ci sono diversi corpi di dolore, nel nostro campo, a chiamare. Liberandoli tutti non busseranno più alla porta, ma anche se qualcuno lo facesse di tanto in tanto, non avremo certo paura ad accoglierlo per liberarlo ancora e ancora. Siamo chiamati, infatti, a trasmutare in questo modo, anche tutto il dolore del mondo perché il dolore del mondo è il nostro dolore.
Il fatto che siamo tutti “Uno” non è solo un detto. E se si impara come fare, non fa più paura.
Carlotta Brucco
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