Questa mattina mia figlia Ginevra mi ha chiesto se fosse importante ringraziare la vita per quello che si ha. La mia risposta è stata no.
«Perché no? Cosa stai dicendo? Ma se tutti dicono quanto sia importante ringraziare per quello che si ha!»
«E con quello che non hai? Che ne fai? Imprechi?»
«Cerco di non pensare a quello che non ho, intanto ringrazio per quello che ho.»
«E riesci veramente a non pensare a quello che non hai?»
«No…»
«Ecco, appunto. Allora occorre guardare da un’altra prospettiva. Tutti sono capaci di ringraziare quando le cose vanno come vogliamo. Il punto non è ringraziare soltanto per quello che hai ma anche per quello che non hai»
«Perché dovrei ringraziare per quello che non ho?»
«Quando tuo fratello aveva 9 anni, sono andata con lui 10 giorni al Cammino di Santiago. Visto la sua tendenza a lamentarsi sempre, appena arrivati in Spagna gli ho regalato una mālā da polso e gli ho chiesto di tenere in mano quel bracciale con le perline e ripetere la parola “grazie” con tutto il cuore ogni volta che avesse creduto di non farcela. Se non avesse fatto così nessuno di noi sarebbe riuscito ad arrivare alla fine della tappa giornaliera. Il lamento toglie forze a tutti. Quando le cose si facevano difficili, lui prendeva la mālā in mano e ripeteva a ogni grano la magica parola. Le forze sono sempre tornate.»
«Non riesco ancora a capire per cosa essere grata.»
«Il punto sta proprio nello smettere di ringraziare per qualcosa e ringraziare a priori. Ringraziare senza oggetto. Il grazie sentito nel cuore è una parola magica. Apre la porta a uno stato di coscienza denso di luce e permette di accedere a forze sconosciute.»
«Come faccio a sentire gratitudine nel cuore se per esempio non va in porto un progetto a cui tengo tanto? Più che altro provo rabbia!»
«Non c’è tanto da dire, occorre provare. Scegli di sperimentare direttamente il potere del grazie e vedi ciò che accade. Ricorda però che l’attenzione va portata sulla sensazione della parola “grazie” nel cuore, non sulla storia che raccontano i pensieri.»
«Quindi è sempre una questione di attenzione?»
«È sempre e solo una questione di attenzione. Chi disciplina l’attenzione può fare magie.»
«Non so, a volte se porto attenzione in un punto specifico mi sembra di irrigidirmi.»
«Perché è opportuno che l’attenzione sia accogliente, gentile, amorevole e non controllante o giudicante. Può essere come uno spazio che accoglie, non come una spada che ferisce.»
«Intendi che è importante la motivazione che ci sta dietro?”
«Eh sì, l’attenzione prende il colore dell’intenzione. È un modo di guardare… Occorre uno sguardo amorevole. Se l’intenzione è controllare, lo sguardo sarà più quello di un dittatore che quello della madre divina.»
«Quindi devo portare attenzione alla sensazione del “grazie” nel cuore, ma curando la qualità della mia attenzione che deve essere amorevole e non controllante, giusto?”
«Sì ma tutti questi “devo qua e devo là” fanno mancare l’aria. Lasciali andare. Sei qua per fare esperienza e per gustartela. Sei qua, come tutti, per conoscere te stessa, che sei infinito amore, e per comprendere come funzioni. Questo viaggio di conoscenza non è un dovere, è il tuo gioco.»
«Oh, sai che piacevole questo gioco! Devo stare attenta a non controllare, a ringraziare, a sentirlo nel cuore, a non giudicare!»
«Vedi, hai di nuovo usato il “devo”. È più subdolo di quello che pensi. Semplicemente accogli quello che c’è e guardalo, osservalo, conoscilo. Dovere porta sforzo, rigidità. La conoscenza accade nell’accoglienza. La conoscenza si rivela nell’accoglienza»
«Mi arrendo…»
«Meraviglioso! Ora sei morbida. Puoi abbracciare quello che senti e sentire il grazie nel cuore. Ora la tua attenzione può accogliere per conoscere. Ora puoi permettere al grazie di portarti la Grazia. Prova.»
Mia figlia chiude gli occhi e sorride.
Carlotta Brucco
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